Il mistero del mutismo di Jason Voorhees: cosa nasconde il venerdì 13? - ©ANSA Photo
Il franchise di “Venerdì 13”, lanciato nel 1980 da Sean Cunningham, ha dato vita a uno dei personaggi più iconici del cinema horror: Jason Voorhees. La sua figura è diventata simbolo di terrore e violenza, ma anche di mistero, non solo per le sue azioni omicide, ma per il suo strano silenzio. Questo mutismo ha alimentato numerose teorie tra i fan, rendendo il personaggio ancora più affascinante e enigmatico.
In “Venerdì 13”, il primo film, Jason è solo una leggenda metropolitana, un ragazzo con disabilità cognitive che affoga nel lago di Camp Crystal Lake mentre i suoi supervisori sono distratti da attività poco appropriate. È solo dopo la morte della madre, Pamela Voorhees, che Jason riemerge per vendicarsi, diventando il killer spietato che conosciamo. La sua maschera, iconica e terribile, è diventata un simbolo di terrore nei successivi undici sequel e crossover, in cui il numero di omicidi attribuiti a Jason raggiunge le 181 vittime.
Una caratteristica peculiare di Jason è il suo mutismo. Interpretato da vari attori e stuntman nel corso degli anni, tra cui l’iconico Kane Hodder, Jason non ha mai pronunciato una parola. Questo silenzio diventa un elemento distintivo che alimenta la sua aura di mistero. Tuttavia, c’è un’eccezione significativa: nel nono capitolo, “Jason va all’inferno”, Jason parla per la prima volta, ma in una situazione che solleva interrogativi sulla sua vera natura.
La scena in cui Jason pronuncia una frase avviene quando il suo spirito salta da un corpo all’altro. Utilizzando le voci delle persone che possiede, comunica per ingannare un personaggio. Questa scelta ha scatenato un acceso dibattito tra i fan: è realmente Jason a parlare o è solo un riflesso delle voci delle sue vittime? Alcuni fan sostengono che, per quanto sia una deviazione dalla tradizione, questa mossa narrativa ha dato una nuova dimensione al personaggio, rendendolo non solo un killer, ma una forza oscura capace di manipolare e ingannare.
Le teorie sul mutismo di Jason si sono moltiplicate nel corso degli anni. Ecco alcune delle più rilevanti:
Un altro punto controverso di “Jason va all’inferno” è il modo in cui il film reinterpreta la figura di Jason. Nei primi otto capitoli, non esistono elementi soprannaturali evidenti, e il personaggio sembra essere un semplice mortale con straordinarie capacità di resilienza. Tuttavia, il nono film introduce un aspetto demoniaco, rendendo Jason una creatura legata a forze oscure. Questa trasformazione ha diviso i fan, alcuni dei quali ritengono che sia una violazione della mitologia originale, mentre altri vedono in essa un’evoluzione necessaria per mantenere viva la saga.
Il regista Adam Marcus e lo sceneggiatore Dan Lorey, nel commento audio del DVD di “Jason va all’inferno”, hanno rivelato di aver discusso a lungo la decisione di far parlare Jason, consapevoli che andava contro oltre dieci anni di tradizione. Hanno scelto di includere la battuta per motivi narrativi, nonostante fosse incoerente con la rappresentazione del personaggio fino a quel momento.
La figura di Jason Voorhees, con il suo mutismo e la sua spietatezza, continua a catturare l’immaginazione del pubblico. Il suo silenzio, carico di significato e mistero, alimenta un fascino che va oltre il semplice terrore. Le teorie e le interpretazioni che circondano il suo personaggio lo trasformano in un simbolo di trauma e resilienza, mentre la sua evoluzione attraverso i film riflette le inquietudini e le paure della società. La saga di “Venerdì 13” non è solo un racconto di omicidi, ma un’esplorazione profonda della psiche umana, del dolore e della vendetta.
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