Interviste

La voce del reale, Alma Mileto a Velvet Cinema sul documentario e le sue forme

Alma Mileto ha scritto per Meltemi Cinema, arti e Culture visive il libro La voce del reale: il rapporto voce-immagine nel cinema documentario. Un libro che ci porta all’interno di un genere spesso ignorato dal grande pubblico ma gravido di interessantissimi aspetti.

Abbiamo avuto il piacere di intervistarla per capire qualcosa in più di questo lavoro interessante e per parlare più in generale di cinema.

Intervista Alma Mileto (VelvetCinema.it)

Andiamo a leggere le sue parole.

La voce del reale, come nasce questa sua opera?

“Si tratta di una ricerca che ho portato avanti per tre anni durante il dottorato. Dopo una laurea in filosofia a La Sapienza mi sono avvicinata al cinema attraverso gli studi di estetica. Sono partita dal montaggio e da Ėjzenštejn, arrivando al dottorato arricchita dalle mie competenze musicali, essendo diplomata in pianoforte al Conservatorio di Santa Cecilia. Volevo coniugare questi due interessi. Ho pensato che sarebbe stato interessante lavorare sul montaggio del suono. Perché all’interno del genere documentario? Perché è un tipo di cinema particolarmente fecondo in questo ultimo ventennio e che ha una storia molto articolata anche in Italia. Volendo parlare di cinema italiano e avendo incontrato il documentario nei miei studi filosofici ho deciso di indagare come voce e immagine del reale agissero insieme. La folgorazione è arrivata guardando La bocca del lupo di Pietro Marcello che è secondo me un documentario straordinario e lui è uno degli autori che più affronto nel libro e mio cineasta di riferimento. Guardare quel film e assistere al montaggio della voce off dei personaggi con le immagini di repertorio è stato per me di grande ispirazione. Nel documentario voce fuori campo e archivi si rapportano in modo complesso e ho pensato come in effetti l’elemento vocale in fuori campo fosse uno degli elementi connotativi del genere documentaristico”.

Si parla di un genere sempre troppo bistrattato, ma che in realtà ha visto protagonisti incredibili alla regia. Come mai secondo lei il cinema documentario è così sottovalutato?

“Il documentario non deve essere sottovalutato, oggi soprattutto e lo dice Emiliano Morreale bene nella prefazione. Il racconto del reale si è fatto quello più complesso e capace di far lavorare insieme materiali diversi come immagini di repertorio, fotografie, innesto di elementi finzionali. L’uso dell’imprevisto e della meta riflessione sono spesso al centro. Il documentario riflette sul cinema e su se stesso. Non si può non avere un occhio di riguardo per un formato che così tanto sperimenta in tutte le direzioni. E una di queste è il rapporto tra piano dell’immagine e piano del linguaggio. Perché il documentario si è fatto re della sperimentazione? Da una parte è il cinema di più facile produzione per i registi emergenti, sappiamo quanto può essere difficile ottenere strumenti tecnici a livello economico per entrare nell’industria. C’è la materia prima per costruire la scena, compreso un semplice smartphone con il quale uscire per strada e registrare la realtà. Nella realtà si trovano le storie più sorprendenti, quelle che sanno ispirare le maggiori finzioni e ispirano la maggior creatività del cineasta che sa lavorare in maniera immaginifica su questa realtà producendo immaginari ben più affascinanti di quelli creati da zero. C’è dentro il rapporto umano con il mondo e con l’ambiente anche metaforicamente parlando. C’è l’emozione, la riflessività, l’autoriflessività. Questo manca nel cinema di finzione o c’è in minima parte. Probabilmente fa sì che si lavori sulla percezione del mondo e di noi spettatori col mondo. Il cinema ha la temperatura emotiva più forte, riesce a empatizzare con lo spettatore. Produce spesso la temperatura emotiva, riprendendo un’espressione di Morreale, più forte”.

Alma Mileto, La voce del reale

Continuiamo a parlare con Alma Mileto de La voce del reale, ma anche delle sue passioni legate al cinema.

Alma Mileto parla anche di Pietro Marcello (ANSA) VelvetCinema.it

Al di là del libro chi pensa che sia l’artista che meglio ha saputo confrontarsi con questo mondo così particolare?

“Pietro Marcello e Alina Marazzi sono i due nomi che mi sento di fare. Sono due registi con cui ho avuto la fortuna di stringere un rapporto personale. Sono state due figure fonte di ispirazione. Ho capito, incontrandoli, qualcosa in maniera più sottile. Nel libro faccio molti nomi e non solo nel contemporaneo arrivo fino alle origini ed espandendosi nell’orizzonte internazionale per poi arrivare al caso italiano partendo anche qui dagli anni trenta. Se vogliamo rimanere sul contemporaneo posso fare i nomi di Stefano Savona, Agostino Ferrente, Giovanni Piperno e ne farei tanti altri ma non è questa la sede. Ne faccio solo un altro: Sara Fgaier, fondatrice con Marcello della società di produzione Avventurosa, realizzatrice di un film splendido, “Gli anni”, e ora in procinto di far uscire un prossimo lavoro, questa volta di finzione. Con lei ho stretto un rapporto personale e ho conosciuto così più a fondo la sua sensibilità di artista”.

A cosa sta lavorando ora? Quale sarà il suo prossimo libro?

“Ho chiuso da poco questo libro ed è un momento di passaggio per me sia personale che professionale. Un altro campo che mi interessa è quello dell’animazione. Nel libro dedico uno degli ultimi paragrafi al rapporto tra immagine d’animazione e voce nel documentario. Anche l’immagine animata diventa l’ennesimo inciampo nel groviglio mediale dei film di oggi. Nel documentario l’animazione riveste un ruolo fondamentale. Potrebbe essere questo il nuovo campo di esplorazione nel prossimo futuro. C’è un autore importante per me, Michel Ocelot, che in Italia ha un suo pubblico, ma non è mai stato studiato dal punto di vista accademico scientifico. Porta un bagaglio espressivo incredibile nei suoi film dal primo Kiriku e la strega Karaba che è il più conosciuto agli ultimi che si ibridano di più con le nuove tecnologie. Nei suoi film c’è una profonda riflessione sul rapporto tra culture diverse. Questo enorme immaginario e questo talento artigianale in grado di rapportarsi in modo brillante con gli strumenti del digitale meritano di essere messi a fuoco in modo più strutturato di quanto non sia stato fatto fino a ora. A lui sono stato molto legata e ho avuto modo di conoscerlo per coincidenza e passione. Potrebbe essere un inizio per il mio prossimo lavoro”.

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Matteo Fantozzi

Matteo Fantozzi nasce a Roma il 10/12/1986. Nel 2005 consegue il diploma allo scientifico sperimentale Giulia Falletti di Barolo. Nel 2008 consegue la laurea al Dams con indirizzo regia a Roma Tre col massimo dei voti. Nel 2010 consegue la laurea specialistica in Cinema e tv nell’era del digitale a Roma Tre col massimo dei voti. Nel 2013 diventa giornalista pubblicista.

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