Un anno difficile esce domani al cinema in tutta Italia, abbiamo intervistato in esclusiva i registi Eric Toledano e Olivier Nakache che erano presenti a Roma al Cinema Barberini.
Il nuovo film della coppia autrice di Quasi amici è uno spaccato molto crudo ma divertentissimo che coinvolge anche elementi molto particolari come quelli legati alla pandemia da Covid.
Lasciamo però a loro la parola.
Ho sempre pensato che i vostri film sono in parte ispirati alla commedia all’italiana. Quali sono gli autori che vi piacciono e le fonti? Poi volevo sapere se vi sono diventati un po’ antipatici gli italiani quando sul successo di Quasi amici hanno tradotto il vostro film precedente del 2009 in Troppo amici?
Eric Toledano: “Sono numerosi i film italiani che ci hanno ispirato da Profumo di donna, con un remake anche con Al Pacino, a I Soliti Ignoti, Il Sorpasso, I Mostri. Il capolavoro fra tutti è C’eravamo tanto amati, ma noi abbiamo sempre adorato il cinema italiano. Non ce l’abbiamo con gli italiani per aver tradotto il titolo del nostro film in Troppo amici perché noi siamo generosi e condividiamo, siamo felici che abbiano scelto questo titolo. Riferimenti alla commedia all’italiana? Per tanto tempo abbiamo fatto inconsapevolmente fatto parte di questa famiglia, perché ci piaceva ispirarsi dalla realtà e trattare tutto con umorismo. Poi crescendo e quando ci siamo resi conto che è questo che faceva la grande commedia italiana siamo stati felici. È stato come quando da bambino non conosci i tuoi genitori e li cerchi, li trovi e sei felice di far parte di questa famiglia”.
Un collega prima ha parlato di finale positivo, io non sono d’accordo. Secondo me è un finale tragico. Nel senso che si capiva benissimo tutto fosse legato alla pandemia. Per trovare una soluzione alle cose ci vuole una tragedia, questa è la mia visione. Voi come l’avevate pensata? Io ho visto i protagonisti trovare una soluzione nella tragedia.
Eric Toledano: “Il riferimento è al film Goodbye Lenin con la protagonista che si sveglia e visto che è debole di cuore non possono raccontarle cosa è successo e che il Comunismo è finito. Cercano di proteggerla facendo vedere che nulla è cambiato. Qui la protagonista si sveglia dal coma e piomba nel periodo Covid, su un altro pianeta. C’è questo scherzetto all’italiana, al centro c’è sempre una storia d’amore e sfruttare una situazione drammatica con un trucchetto furbetto lui la sfrutta a suo vantaggio. C’è qualcosa di tragico, di comico ma anche di poetico. Sicuramente questo è il senso del film. Poi qualunque punto di vista è ben accetto, l’importante è raccontare qualcosa e ognuno può vedere la cosa dal suo punto di vista. L’altro giorno mi è stata raccontata una cosa su una signora che attraversava la strada ha specificato che veniva dall’altra parte e un altro gli ha risposto che invece quella era l’altra parte, sicuramente tutte le opinioni sono accettate. Io comunque per l’interpretazione del finale sono d’accordo con te più che col collega che ha parlato di finale ottimista”.
C’è un altro regista americano, Eli Roth, che ama moltissimo il cinema italiano e attraverso l’horror fa satira. E l’ultimo film Thanksgiving c’è una sequenza molto simile a quella vostra del black friday anche se lì tutto si consuma in un bagno di sangue. Quanto è bello che attraverso diversi linguaggi il cinema possa poi alla fine dire quasi la stessa cosa?
Olivier Nakache: “Sì, in effetti siamo tutti porosi e assorbiamo quello che accade. In Francia ha generato diverse cose il Covid. Sappiamo che sono problemi che riguardano tutto il modo ed emergono e vengono affrontati e raccontati nell’arte, nella musica, nel cinema. Degli avvenimenti che sono delle pietre miliari della nostra società vengono trattati in maniera diversa. Credo di aver capito a cosa ti riferisci per la scena di Thanksgiving perché mi avevano già parlato di questa analogia”.
Si dice che un film è come un figlio per un regista, però voi siete due, ed è anche vero che esistono due genitori. Avete mai litigato sul set? Come funziona stare insieme per tutti questi film e continuare a fare tutto bene?
Olivier Nakache: “In Italia avete avuto i fratelli Taviani, un nostro amatissimo attore diceva che siamo due fratelli con un cognome diverso. Non ci piace lavorare sotto tensione, cerchiamo di evitarla, c’è della creatività, c’è la discussione e a volte piccoli scontri, ma anche tanta riflessione. Non amiamo lavorare sotto tensione né con noi né con gli attori. Il canale di comunicazione che abbiamo scelto è quello dell’assenza di tensione”.