Benedetta Pallavidino ha raccontato un attore molto controverso nel suo Helmut Berger Ritratto su Pellicola, edito da Bietti Editore nella collana Fotogrammi. L’abbiamo intervistata.
L’attore classe 1944 è scomparso il maggio scorso ed è stato interprete di tanti capolavori tra cui diversi film di Luchino Visconti con cui ebbe anche una relazione.
Ecco le sue parole sull’artista:
Come nasce la tua voglia di andare a raccontare un personaggio controverso come Helmut Berger?
Nasce dal fatto che l’ho sempre trovato un attore molto sottovalutato, ricordato solo per essere stato il divo e il compagno di Visconti. È sicuramente vero che diretto da lui ha avuto la possibilità di prendere parte a opere monumentali, ma è stato anche attore di cinema di genere, usato dall’industria cinematografica solo per interpretare ruoli che sfruttano evidenti caratteri estetici, o che sembrano focalizzarsi su aspetti singolari, tipici dell’uomo o del personaggio che l’ha lanciato nel firmamento delle star: Martin von Essenbeck ne “La caduta degli dei”. Questo libro vuole essere un omaggio a un attore e la possibilità per i lettori di rivalutare una figura molto indagata dal gossip e poco considerata dagli addetti ai lavori.
Qual è il film dove è presente nel cast l’attore che più ti ha colpito e perché?
Nella mia analisi, il film che io definisco “il giusto mezzo” tra ciò che voleva il cinema e ciò che era l’uomo è senza dubbio “Gruppo di famiglia in un interno” in cui interpreta Konrad, un giovane in equilibrio tra ideali e trasgressioni, alla ricerca di accoglienza e di comprensione. Credo sia un personaggio che davvero racconti, più di mille astruse congetture, Helmut Berger. Un altro film che considero prova di coraggio è “Eroina” di Massimo Pirri, un film realizzato prima di “Amore tossico” di Caligari, ma uscito grazie all’eco di quest’ultimo. Il personaggio di Berger ingloba uno spaccato generazionale ribelle, alla ricerca di una libertà e felicità che la società borghese ha sottratto e ipocritamente trasformato in conformismo.
Benedetta Pallavidino su Helmut Berger
Benedetta Pallavidino aggiunge altri particolari sulla vita e l’opera di Helmut Berger.
C’è oggi qualcuno che per qualche motivo può somigliare a Berger?
Non credo, Berger, nel bene e nel male è rimasto fedele a se stesso. Non si è piegato alla moda, ha vissuto la vita secondo le sue regole, a suon di “ora o mai più” e non se ne è mai pentito. Ha provato tutto , è caduto e si è rialzato fino alla fine, anche al cinema, negli ultimi anni quando ha lavorato con due grandi autori contemporanei come Bertrand Bonello e Albert Serra.
La vita di Berger è stata anche protagonista sulle pagine dei rotocalchi rosa. Che sensazioni hai sulla storia con Luchino Visconti?
Io ho la mia idea, naive forse, ma credo che fossero due persone difficili che hanno cercato un punto di incontro. Uno aveva bisogno di attenzioni e l’altro non sapeva darle. Berger dal 76 si è perso, l’anno dopo ha tentato il suicidio, si è definito vedova a 32 anni, non ha mai smesso di parlare di Visconti. È evidente che sia stato fondamentale per lui. Io, da sognatrice un po’ romantica, spero che nonostante le liti, lo sperpero di denaro e le assenze, abbiano condiviso momenti di felicità.
Come giudichi la sua scelta di uscire di scena?
Credo sia stata dettata da motivazioni serie, è avvenuta a fine 2019. È stata in grande stile. “Saint Laurent” e “Liberté” sono stati due addii complementari, da un lato l’esaltazione di una stanca fragilità, dall’alto l’ultimo spettacolo di un libertino insaziabile. Credo sia stato come doveva essere, come Helmut Berger voleva che fosse.