Suburræterna è stata presentata alla Festa del cinema di Roma, abbiamo intervistato il regista dei primi quattro episodi Ciro D’Emilio.
Reduce dal suo secondo film, Per niente al mondo, l’autore ci ha parlato di molte cose interessanti a proposito di questa nuova serie tv. L’ha fatto con la solita intelligenza e umiltà che lo contraddistinguono.
Lasciamo spazio alle sue parole.
Come nasce la collaborazione per la serie Suburræterna e quanto è debitrice di ciò che è venuto prima?
“Nasce perché vengo contattato da Gina Gardini showrunner e produttrice del progetto, un po’ la madre di tutti i progetti seriali Cattleya di Crime come Suburra il film e la serie, Gomorra e quant’altro. Mi propone questo progetto che doveva essere un reboot delle tre stagioni della serie precedente. Nel contattarmi mi dice fin da subito che è una serie che non era pensata per essere la quarta stagione, ma doveva essere la prima di Suburræterna di trovare un elemento o più che avessero a che fare con l’universalità col franchise di Suburra ma allo stesso tempo consegnare alla serie una caratteristica molto più personale. Io e Alessandro Tonda, chiamati per dirigere gli otto episodi, ci siamo interrogati da subito su come rispettare gli stilemi parte integrante del franchise e come usare e dove farlo per dare un territorio nuovo. Sicuramente io e Alessandro abbiamo avuto una formazione diversa, ma con dei punti in comune. La casualità incredibile è che siamo stati assistenti alla regia insieme in Gomorra, lui aveva fatto anche Romanzo Criminale e Suburra il film come secondo aiuto regista. Venivamo da una conoscenza molto presente e dal vivo di quanto era stato il lavoro di Stefano Sollima. Avevamo fatto i nostri film, altre serie, avevamo sperimentato diversi linguaggi. Provenivamo entrambi da film d’autore che avessero toccato elementi di genere, crime e li abbiamo messi insieme, giocando a ping pong facendo confluire un unico linguaggi affrontando i mondi di Suburra il mondo della politica, il Vaticano e la strada. Questo triumvirato della strada veniva affrontato con personaggi nuovi, ricchi d’umanità ma con una fame specifica di chi viene dal nulla e vuole arrivare ad avere qualcosa. In qualche modo poteva essere cugino di quello che provavano Aureliano, Lele e Spadino nelle tre stagioni, ma loro hanno un collocamento ideale che viene messo in discussione, si trovano a capire che insieme possono essere più forti. Però tutto nasce da un incontro, quasi un romanzo di formazione di questi tre ragazzi che vogliono prendere il potere liberandosi dai contesti”.
Aggiunge: “In questo caso avevamo dei protagonisti nuovi che andavano a spodestare chi aveva nel potere un ruolo, i personaggi che conoscevamo già precedentemente. Sono tutti personaggi che vengono da una fame profonda, hanno bisogno di dichiarare il loro posto nel mondo e lo fanno tramando dentro il potere cercando di spodestarlo ottenendolo per riconoscenza di quanto hanno patito nella loro vita. C’è tutto un moto di rivoluzione del potere, mentre nella serie c’era un voler prendere quel potere che esiste in quanto tale. Questa è la differenza sostanziale, basandola sulla forza della relazione. È più calda, ma non è più lenta non è come la serie una lama tagliente che affonda il colpo ma un arnese più delicato dove le facce del potere sono volubili, cambiano in continuazione. Il sistema alla base è lo stesso, ma i personaggi alla base hanno degli obiettivi diversi. Questo ci ha spinto anche per la messinscena. Abbiamo pensato ci fosse bisogno di “rubare” linguaggio da serie raccontato personaggi che venivano dal nulla come Romanzo Criminale e Gomorra. Abbiamo lasciato allo stesso tempo un rigore della messa in scena e nel decoupage per quanto riguardava il mondo del Vaticano, ci sembrava giusto rispettarlo perché gli ambienti erano gli stessi a differenza del resto”.
Com’è girare una serie tv in due? Un regista sicuramente una serie la sente come un figlio, come funziona quando metà devi darla a un’altra persona?
“In questa fase della mia vita e della carriera vivo una duplice esistenza professionale. Faccio film d’autore scritti o co-scritti e lavoro alle serie dove c’è sempre un team degli sceneggiatori e team di registi, una presenza della parte produttiva ed editoriale molto più presente e con richieste più elevate di un film. Ho capito che la maniera più sana di approcciarsi alla condivisione di una serie si basi su una condizione. Fare un film è un gioco di squadra dove tutti, con le competenze, lavorano per il raggiungimento di un obiettivo che si comprende durante il percorso creativo. La serialità invece è un gioco di squadre (artistica, produttiva ed editoriale) che lavorano insieme per raggiungere un obiettivo che è già stato previsto inizialmente. Cambia dunque il modo con cui ti approcci all’opera. La serie, nel rispetto di capacità e strumenti delle squadre, è una combo importante da sostenere e condividere e da far deflagrare se si conoscono gli obiettivi in partenza, se quella cosa cambia iniziano problemi e incomprensioni, nascono frutti che hanno forme diverse. Questa cosa qui nella co-regia è uguale. Con Alessandro ho avuto la fortuna di lavorare con un fratello, abbiamo grande stima e fiducia condividendo le nostre scelte artistiche insieme durante il progetto. È stata una sorta di sentirmi la stessa persona con lui e viceversa, quando avevamo affidato un numero di episodi a testa. Ne L’Ora – Inchiostro contro piombo avevamo Piero Messina che era oltre che regista di cinque episodi anche supervisore e aveva avuto un approccio. Io avevo quattro episodi e Stefano Lorenzi uno avevamo libertà sulla messinscena, ma ci basavamo sulla sua idea comune. Sapevamo che Piero aveva battezzato un universo e abbiamo cercato con la nostra cifra più fedeli possibili”.
Hai capito oggi se ti piace fare più film o serie o è semplicemente diverso?
“Sono due modi differenti di fare la stessa cosa o di essere la stessa cosa. Non ho una risposta oggi. Ci sono emozioni diversificate. Vedere il risultato di una cosa complessa come una serie è entusiasmante. Fare il proprio film tocca corde molto più intime. Potrei essere facilone e dire che fare i film è un’altra cosa, sicuramente è un viaggio diverso e lavori nell’intimità delle tue urgenze, fare film scritto da altri ha un altro livello di coinvolgimento e fare la serie nella complessità è molto affascinante. A oggi non mi pongo limiti. Preferisco lottare tutti i giorni affinché io possa fare il regista per tutta la mia vita perché è quello che mi piace fare”.
Ostia è presente in Suburræterna, quanto è stato importante il tuo rapporto con una città che conosci bene?
“Ci ho vissuto 13 anni. Mi ha aiutato tantissimo, perché molti luoghi quando andavamo a scoprirli li conoscevo già dagli anni della gavetta. Vedevo un’Ostia all’alba o a notte fonda quando mi imbarcavo per andare a studiare a Roma. Oppure quando lavoravo come cameriere, dai 19 ai 24, conoscevo mille mondi degli avventori. Il litorale è stato un mondo fondamentale già per la serie. Tante cose vicine e lontane da me le ho rispolverate anche perché sono anni che non vivo più lì, ma tredici anni me li ricordo tutti”.
A cosa stai lavorando oggi?
“Sto scrivendo il mio terzo film che non so quando faremo. Siamo in fase germinale. Da due tre mesi sto lavorando alla creazione del primo soggetto del prossimo film che spero di girare entro i prossimi due anni. Continuo la direzione artistica dell’Accademia del Cinema Renoir, l’altro luogo della mia vita dove continuiamo ad avere tanto appoggio da chi il cinema lo fa. Ognuno con le loro competenze ha sposato la scuola perché è una scuola dove il cinema si fa con chi lo fa. Lo facciamo in termini di accessibilità, senza lucrare e in termini di meritocrazie. E anche quello mi porta via molto tempo e ha sempre a che fare col cinema che fa parte della mia vita a 360°”.