Ecco la classifica degli scrittori contemporanei dalle cui opere sono stati tratti più adattamenti cinematografici: il podio è ricco di nomi di grandissimo spessore, anche se rimangono fuori dei veri e propri maestri.
La fusione tra letteratura e cinema ha da sempre nutrito l’immaginazione di spettatori in tutto il mondo, trasformando libri in pellicole che catturano il pubblico e contribuiscono al successo delle opere letterarie. In questa sinergia tra due forme d’arte, alcuni autori viventi emergono come veri campioni degli adattamenti cinematografici. In cima a questa lista, incontriamo il maestro del terrore, Stephen King. Con una straordinaria cifra di 34 adattamenti cinematografici, King ha dominato il mondo del cinema con le sue storie horror e thriller. Dai labirinti di “Il miglio verde” all’orrore di “It”, le parole di King hanno preso vita sul grande schermo in modi che hanno spaventato e affascinato il pubblico di tutto il mondo.
Nicholas Sparks, noto per i suoi romanzi sentimentali, si posiziona al secondo posto con 11 adattamenti cinematografici. I suoi racconti romantici, intrisi di emozioni e dramma, hanno conquistato il cuore del pubblico, trasformando le sue opere in film che hanno toccato corde emotive universali. Al terzo posto, con 10 adattamenti ciascuno, troviamo due autori di grande spessore: John le Carré e Ian McEwan. Le opere di le Carré, ricche di intrighi e spionaggio, hanno trovato vita sullo schermo con successi come “La talpa” e “Il giardino dei tradimenti”. McEwan, noto per le sue narrazioni complesse e psicologiche, ha regalato al cinema storie coinvolgenti come “Espiazione” e “The Children Act”.
Nella lista degli autori viventi con più adattamenti cinematografici, emergono anche figure come Philip Roth, Nick Hornby e J.K. Rowling. Ognuno di loro ha portato il proprio contributo unico alla cinematografia, con storie che spaziano dai drammi intimi alle epiche avventure fantasy. Questo conteggio esclude opere classiche e si concentra solo sugli adattamenti tratti da libri in lingua inglese e scritti da autori ancora in vita. Tuttavia, l’impatto dei loro racconti si estende ben oltre le pagine, trasformando la narrativa in un’esperienza visiva che continua a incantare il pubblico.
Cinema, Stephen King e l’esempio di “Shining”: quando scrittore e critica sono in disaccordo
Un esempio tangibile di questa potente connessione tra libri e film è rappresentato da “Shining”, pubblicato da Stephen King nel 1977 e trasformato in un classico horror psicologico nel 1980. La storia è intrisa di dettagli affascinanti che sottolineano la complessità e la dedizione che hanno portato alla creazione di uno dei capolavori del cinema. Il film di Stanley Kubrick ha subìto varie trasformazioni prima di raggiungere la sua forma finale.
La versione originale del film aveva una durata di 146 minuti quando fu rilasciata nei cinema americani. Tuttavia, Kubrick, noto per la sua attenzione ai dettagli, operò modifiche, rimuovendo la parte della pediatra interpretata da Anne Jackson e tagliando una scena finale con Barry Nelson che visita Shelley Duvall in ospedale. Questi tagli ridussero la durata complessiva a 144 minuti. La versione distribuita in tutto il mondo è stata ulteriormente abbreviata a 120 minuti.
Il processo di realizzazione di “Shining” fu lungo e impegnativo. Kubrick e la troupe iniziarono a lavorare sul set dell’Overlook Hotel nel maggio del 1978 e mantennero il controllo della struttura fino all’aprile del 1979. Gli Elstree Studios di Londra, che ospitavano la produzione, dovettero affrontare sfide notevoli per far spazio ad altre produzioni come “Flash Gordon” e “L’Impero colpisce ancora”. La lavorazione del film, dalla preparazione alla lavorazione effettiva e al montaggio, richiese complessivamente 3 anni e 2 mesi. Un periodo straordinariamente lungo, ma necessario per la visione dettagliata di Kubrick e la complessità della produzione.
Stephen King, autore del libro da cui è tratto il film, non condivideva l’approccio di Kubrick alla storia. Non approvava la prima stesura della sceneggiatura e detestava la versione successiva, ritenendo che Kubrick avesse focalizzato troppo l’attenzione sui personaggi, trasformando il film in una tragedia domestica con solo accenni sovrannaturali. Un elemento chiave nell’estetica di “Shining” è l’uso innovativo della steadicam, una tecnologia rivoluzionaria inventata e manovrata da Garrett Brown. Kubrick decise che tutte le stanze dell’Overlook dovessero essere comunicanti, sfruttando al massimo le possibilità offerte dalla steadicam.
La sfida per il direttore della fotografia John Alcott era illuminare l’intero set in modo che riflettesse l’illuminazione naturale di un vero albergo. Questo richiedeva un’intensità luminosa simile a molte candele. Tutte le luci dell’Overlook furono collegate alla rete elettrica come se fossero parte integrante dell’albergo, un compito titanico che richiese mesi di lavoro solo per i collegamenti elettrici.