Lui tarantino e molto legato alla sua città natale ha deciso di mettersi per la prima volta dietro la macchina da presa per raccontare un aspetto di uno dei casi più spinosi della storia industriale del nostro Paese…
Michele Riondino debutta alla regia con un film impegnato, importante, che vuole far luce su uno degli aspetti più inquietanti legati all’ILVA di Taranto: il grande complesso siderurgico che da decenni ha ricadute di ogni tipo sul territorio in cui l’artista è nato e cresciuto. Il film si chiama “Palazzina Laf” e segna l’esordio di Riondino dietro la macchina da presa. L’attore tarantino però è anche uno dei protagonisti della pellicola insieme a Elio Germano, Paolo Pierobon, Vanessa Scalera, Domenico Fortunato e Gianni D’Addario.
Il film è distribuito da BIM e sarà nelle sale dal prossimo 30 novembre, prodotto da Palomar Bravo, BIM Distribuzione, RAI Cinema e Paprika films. “Palazzina Laf” intanto è stato presentato alla Festa del Cinema di Roma 2023 nella sezione Grand Public. La pellicola è ambientata alla fine degli anni novanta, precisamente nel 1997 e ha come scenario principale proprio l’ILVA di Taranto nel quartiere Tamburi. Caterino Lamanna (Michele Riondino) è un operaio di fatica, uno dei tanti che lavora nel grande complesso tarantino.
È un uomo semplice, dal carattere diretto, a volte rude, che viene individuato da un dirigente spietato per far luce sugli operai legati al sindacato che creano problemi all’interno del complesso industriale. Michele Basile (Elio Germano) vorrebbe usare Caterino per ottenere quindi informazioni sugli operai ribelli, quelli più irrequieti e che rischiano di fomentare gli animi dei colleghi e quindi alzare il velo su questioni che la dirigenza non vuole affrontare. E Caterino decide di assecondare le richieste di Basile e invece d’accettare le offerte del dirigente che metteva sul piatto auto aziendale e la promozione a caposquadra, chiede di essere trasferito nella Palazzina Laf (acronimo di “Laminazione a freddo”).
L’esordio alla regina di Michele Rondino: “Palazzina Laf è un film in cui la credibilità nasce dal grottesco”
In quello cioè che crede essere una sorta di Eden al quale hanno accesso pochi privilegiati e che invece si rivelerà essere una sorta d’inferno di mobbing e vessazioni. Riondino si cuce addosso un personaggio che interpreta in modo essenziale, senza eccessi, rivelandone il carattere, la formazione culturale e non facendo sconti nel delinearne la parabola umana. La sceneggiatura del film è scritta con intelligenza dallo stesso Riondino, affiancato da Maurizio Braucci. Notevole anche la colonna sonora di “Palazzina Laf” con le musiche originali di Teho Teardo e la canzone finale (“La mia terra”) è di Diodato che – come Riondino – è tarantino e con l’attore e regista ha anche patrocinato il concerto del primo maggio nella città pugliese.
Riondino disegna uno spaccato che ondeggia tra il drammatico e il grottesco e rivela: “Non dare sedie a sufficienza, non dare posto dove sedersi, mantenere le finestre rotte, togliere i tavoli per non permettere alla gente di sedersi. Scortarli all’interno dell’azienda, come se fossero all’interno di un campo di concentramento mi sembravano assurde. Paradossalmente la credibilità di queste storie sono date dal grottesco”.
Anche perché questi lavoratori erano spesso altamente qualificati: “L’idea nasce dal contrasto dei racconti di quello che successe all’Ilva negli anni Novanta, dove lavoravano anche mio padre e i miei zii, e dove c’era appunto chi diceva che alcuni lavativi rubavano lo stipendio. Comunque per me – dice Michele Riondino che sin da ragazzo è stato un attivista – è un film allo stesso tempo politico, ideologico e di parte. Ci ho messo tanto tempo per dire con questo film verità oggettive che hanno portato poi alla prima sentenza sul mobbing quando questa parola neppure si conosceva”.
Gli operai dell’ILVA sono scesi di nuovo in piazza intanto e il prossimo sette novembre incontreranno il governo, ma Riondino non vede prospettive: “Mi viene quasi una tenerezza, li guardo sempre con molta tenerezza, perché in realtà la fabbrica, quell’azienda, è già morta. Non l’abbiamo uccisa noi attivisti, l’ha uccisa il mercato. E vendere quell’azienda ad Arcelor Mittal, al più grande competitor di acciaio è stata una forma di suicidio, di suicidio politico, industriale, economico”.
Anche Vanessa Scalera, che interpreta una delle donne vittime di mobbing e segregate nella Palazzina Laf, spiega d’aver accettato con entusiasmo la parte, anche perché la vicenda la toccava da vicino: “Conoscevo bene quella storia, sono della provincia di Brindisi, stretta tra l’Ilva e la centrale termoelettrica di Cerano. Dell’Ilva si conoscono i processi, la questione ecologica, ma della Palazzina Laf si sapeva poco. Per me è stata quasi una chiamata alle armi”.