Ivan Silvestrini, regista di Mare Fuori, ha risposto in esclusiva ai microfoni di Velvetcinema.it ad aclune domande sul futuro del cinema
In attesa della proiezione in anteprima di alcuni episodi della quarta stagione di Mare Fuori, abbiamo intervistato in esclusiva, alla Festa del cinema di Roma, il regista Ivan Silvestrini.
In silenzio stampa per quanto concerne i dettagli della tanto acclamata serie partenopea, Silvestrini si è sottoposto ad alcune domande in merito all’attualità cinematografica.
La figura della donna al cinema
Da alcune dichiarazioni che ho avuto modo di ascoltare, mi è parso di capire che lei abbia particolarmente a cuore la questione femminile all’interno del prodotto audiovisivo contemporaneo. Nell’ottica di un concreto miglioramento della narrazione del femminile, crede che sia utile andare a ripescare icone del passato per stravolgerne i presupposti, o serve piuttosto costruire nuovi personaggi che ispirino le nuove generazioni?
“Secondo me quello a cui stiamo assistendo in questo momento negli ultimi anni del cinema è un approfondimento maggiore anche delle aspirazioni dei personaggi femminili che non sono solo accompagnatrici dei personaggi maschili, ma hanno i loro desideri e la loro volontà. Questo forse, a volte, porta anche diciamo una riscrittura di personaggi iconici in maniera un po’ straniante per chi li conosceva già. Però bisogna trovare un equilibrio in questo, ma è giusta la direzione che si è presa nel cercare di rendere i personaggi femminili più strutturati, complessi e interessanti, perché credo che, in qualche modo, noi siamo fatti anche delle storie che abbiamo visto o ascoltato”.
Silvestrini prosegue: “Quando una bambina o un bambino vede un film come Barbie, può confrontarsi con una complessità maggiore del femminile. Ora in questo momento, magari, c’è anche uno sbilanciamento, per cui sembra che per raccontare delle donne interessanti, si debbano affiancare degli uomini stupidi… prima o poi troveremo un bilanciamento. Secondo me ci sono delle delle cose molto importanti che per molti anni non sono state raccontate abbastanza. Come per esempio il desiderio femminile, che sia desiderio di fare carriera o il desiderio sessuale”.
Mare Fuori in sala?
Per quanto riguarda invece la sala, crede che sia fondamentale per l’espressione dell’audiovisivo? Vorrebbe un Mare Fuori in sala?
“Si, vorrei un Mare Fuori in sala. Vorrei che tanti giovani scoprissero e dico scoprissero che magari sono diventati adolescenti sotto il covid e non sanno neanche che cos’è l’esperienza della sala. Vorrei che la scoprissero e imparassero ad amarla come è capitato a me. È ovvio che quando io ero un adolescente la sala era l’unico modo di fruire dell’esperienza cinematografica alla massima potenza. Oggi con la tecnologia si assiste a una buona qualità di riproduzione anche a casa, però questo ovviamente ci porta lontani dall’esperienza sociale della fruizione di storie, che secondo me è un rito importante. Le storie ci permettono di crescere e secondo me bisogna cercare di fare film, come io proverò a fare in futuro, che riportino quel pubblico che per esempio si è appassionato sul piccolo schermo a Mare Fuori, verso storie sul grande schermo”.
Il regista conclude: “Quel tipo di rapporto che si è creato ha a che fare con un tipo di racconto delle emozioni che non è facile ottenere. In Mare Fuori, per mille motivi ci si è riusciti, ma non è solo merito mio, per carità. E’ merito delle storie e dell’interpretazione. Io in qualche modo ho fatto il direttore d’orchestra di tutte queste potenzialità. Penso che se oggi Mare Fuori andasse in sala la gente ci andrebbe, come è dimostrato dal fatto che le due proiezioni di questo Festival sono andate sold out in sette minuti. Vediamo per il futuro… questo dipenderà dalle volontà distributive”.