Richard Curtis, regista di Love Actually e Notting Hill, ha confessato di non apprezzare più i propri film da un particolare punto di vista
È incredibile quanto una società possa modificarsi nelle fondamenta in un lasso di tempo così breve… dopo secoli di rappresentazioni distorte e dannose di una serie di categorie sociali, ognuno di noi si è trovato a riconsiderare, nel corso degli ultimi anni, la propria visione del mondo, mettendo in discussione la gran parte delle azioni compiute.
È proprio ciò che è accaduto a Richard Curtis, autore e regista di Love Actually (2003), il quale ha confessato di essersi amaramente pentito di alcune raffigurazioni presenti nelle sue pellicole di inizio millennio.
La rappresentazione del femminile in Love Actually
Impegnato in un’intervista con la propria figlia, Curtis ha affrontato in particolare il caso di Love Actually, nel quale emergono prepotenti i rimpianti del regista. Difatti, illuminato soprattutto dalla visione critica della figlia, attiva sui temi del femminismo, il regista di Notting Hill (1999) avrebbe affermato che, se dovesse girare un film oggi, non adotterebbe neanche lontanamente l’approccio narrativo delle sue commedie più celebri e celebrate.
Parlando direttamente con la figlia, Curtis dichiara: “Avrei voluto essere all’avanguardia. Ricordo quanto ero scioccato cinque anni fa quando Scarlett (la figlia) mi disse che non avrei più potuto usare la parola grasso. Wow, aveva ragione. Per la mia generazione dare del cicciottello a qualcuno era divertente. In Love Actually c’erano battute su questo. Quelle battute non sono più divertenti. Penso di essere stato poco attento e non intelligente come avrei dovuto”. Una vera e propria ammissione di colpe, indice di invidiabile senso di autocritica e mancanza di un persistente e sterile orgoglio patriarcale.
L’assenza di diversità in Notting Hill
L’autore si è poi spinto oltre, denunciando a se stesso la mancanza di diversità etnica nelle proprie pellicole: “Penso che, provenendo da una scuola e da un gruppo di amici universitari molto poco diversificati, mi sia aggrappato alla sensazione che non avrei saputo scrivere quelle parti. Credo di essere stato stupido e di essermi sbagliato su questo punto. Mi sembra che sia io che il mio direttore del casting e fino ai produttori, non guardassimo all’esterno”. Ancora una volta, Curtis manifesta un sincero motto di cambiamento rispetta ad alcuni schemi adottati nel cinema di qualche anno fa.
Al netto del piacevole mea culpa firmato Richard Curtis, i fan si augurano di non ritrovarsi con un remake di queste due pietre miliari, a cui è scontato guardare con occhio critico nei confronti delle problematiche sopracitate, ma alle quali poco gioverebbe una riproposizione in chiave moderna. Si tratta dunque, seppur con le dovute differenze, della medesima diatriba scaturita dalla riscrittura di alcuni passaggi dei romanzi di Agatha Christie, da molti reputata un’operazione sterile e persino dannosa. Forse, sarebbe più costruttivo e stimolante soffermarsi sul generare nuovi personaggi in linea con le odierne coscienze, senza rischiare di revisionare forzatamente i riferimenti culturali di un mondo lontano.