Lo sguardo dialogico è una monografia molto interessante scritta da Valentina Ippolito per Joker Edizioni. Il libro racconta il viaggio migratorio dei romeni in Italia attraverso il cinema.
Abbiamo avuto la possibilità di intervistare l’autrice del libro.
Come nasce l’idea de Lo sguardo dialogico?
Lo sguardo dialogico. Il viaggio migratorio in Italia nel cinema contemporaneo italiano e romeno è il primo studio critico comparativo sul viaggio di migrazione verso l’Italia nel cinema contemporaneo italiano e romeno. Il mio obiettivo è stato esaminare gli espedienti stilistici usati dai registi per rappresentare i migranti romeni nel loro incontro e scontro con l’Italia, nel corso di un viaggio reale o immaginario. Ho condotto l’indagine attraverso la disamina di tre opere di registi italiani (Carmine Amoroso, Federico Bondi e Francesco Munzi) e tre opere di registi romeni (Bobby Paunescu, Cătălin Mitulescu e Florin Serban), impegnati a raccontare storie di migrazione dal punto di vista delle culture ospitanti e delle popolazioni migranti. L’attenzione a tale paradigma ha guidato la selezione delle scene filmiche dove questo espediente retorico si attua, determinando un “effetto di eco” tra gli elementi della rappresentazione, confermando l’ipotesi di una interazione stilistica, allo stesso tempo consapevole ed involontaria, tra i registi del campione selezionato. Lo sguardo dialogico è una tecnica cinematografica oppositiva e dialogica utilizzata dai registi sia italiani sia romeni per rappresentare viaggi transnazionali di andata e ritorno, che presentano elementi affini. Nella fase di gestazione del libro, ho preso atto che la letteratura critica esistente sul cinema migratorio contemporaneo, nello specifico sul viaggio d’esilio dalla Romania verso l’Italia e sulla condizione diasporica in Italia, presenta un ridotto numero di opere da consultare per la verifica delle relazioni intercinematiche ed interculturali esistenti tra le due nazioni a confronto, a comprova che questo soggetto non aveva ancora ricevuto la dovuta attenzione, né fuori né dentro il quadro accademico. Il paradigma da me ideato, che ho definito lo “sguardo dialogico”, ha mirato a esplorare, come dicevo, insieme ai temi, anche le convergenze e divergenze tecnico-formali e stilistiche dei sei registi italiani e romeni del campione selezionato alla ricerca di livelli più sottili di dialogo tra le opere e gli autori presi in esame. Ho prestato particolare attenzione alla direzione della fotografia, al suono, al montaggio e alla composizione degli elementi della mise-en-scène. L’impostazione della prospettiva dello sguardo dialogico intercinematico invita a riflettere sulla natura dei processi di assimilazione e influenza reciproca tra registi, stimolata dall’espandersi di questo tema e dalla crescente attenzione della critica e del pubblico.
Il cinema romeno è molto poco studiato e attenzionato in Italia, come mai secondo lei?
Non posso confermare la sua supposizione perché è possibile che in Italia ci siano altri studi attualmente in corso sulle orme delle ricerche condotte dal collega Francesco Saverio Marzaduri, autore del libro dal titolo Noul Val: il cinema romeno (1989-2009), pubblicato nel 2012, il quale ha scritto una recensione del mio libro, disponibile sul sito di Orizzonti culturali italo-romeni, una rivista interculturale bilingue dedicata ai rapporti culturali tra Italia e Romania: orizzonticulturali.it. Spero che il mio libro possa contribuire a colmare questa lacuna. Per quanto riguarda l’attenzione dei cineasti italiani verso il cinema romeno, vale la pena ricordare che tra l’Italia e la Romania intercorrono legami di co-produzione, fondati sulla collaborazione reciproca come in Dincolo de calea feratã / Lungo i binari (2016) di Cătălin Mitulescu e Mar Nero (2008) di Federico Bondi, una co-produzione italo-romena della HI Film Productions. La distribuzione di questo tipo di cinema d’autore italo-romeno avviene spesso tramite importanti rassegne cinematografiche ed eventi culturali, come la mostra del cinema di Venezia con To the North di Mihai Mincan e FrancoFilm – il Festival del Film Francofono di Roma, con la proiezione del film Collective, diretto da Alexander Nanau, presentato in anteprima mondiale alla Mostra del Cinema di Venezia il 4 settembre 2019.
In questa transizione, che molto spesso porta persone nate in Romania ad arrivare in Italia, il cinema è riuscito a sensibilizzare?
Tra il 2006 e il 2012, sono apparsi sul grande schermo Cover-Boy: l’ultima rivoluzione (2006), Mar Nero (2008), Il resto della notte (2008), La nostra vita (2010) e Sette opere di misericordia (2012), confermando la crescente popolarità della filmografia italiana sulla migrazione verso l’Italia. Come ho argomentato nella mia monografia, negli ultimi quindici anni, abbiamo assistito ad un aumento delle produzioni cinematografiche che affrontano tematiche legate all’immigrazione dalla Romania verso l’Italia con film i cui protagonisti sono dei migranti romeni. Secondo il mio punto di vista, il genere cinematografico dei film di migrazione cerca di sensibilizzare il pubblico sui problemi associati all’esperienza migratoria, mettendo dinanzi alle nostre coscienze la prospettiva tanto di chi abbandona il proprio paese in cerca di una vita migliore, quanto di chi li accoglie.
Di fatto il razzismo purtroppo è ancora una piaga sociale, lei crede che il cinema possa aiutare a risolverla o almeno ad attenuarla?
A questa domanda rispondo estendendo il problema globale del razzismo a quello riguardante la questione dell’integrazione delle diverse etnie di migranti in Italia. In questo ambito, il cinema impegnato, che presenta al pubblico anche gli aspetti sociologici della migrazione, ha una sua grande influenza sull’opinione pubblica. È importante che autori, produttori, critici e pubblico collaborino a riconoscere il potenziale del cinema non solo come forma d’arte e di intrattenimento ma come strumento con una vasta portata comunicativa e sociale. Nel settore crescente dei film sulla migrazione, come ho già detto, ci sono opere con aspetti ideologici e umanitari che possono raggiungere positivamente la sensibilità di chi si pone attentamente all’ascolto. Come sappiamo, l’impatto del cinema di impegno sul pubblico dipende da molti fattori attinenti alle realtà del fruitore, al contesto culturale, alle esperienze e alle prospettive individuali. A questo proposito, vale citare due interessanti monografie sull’argomento “migrazione”, di cui sono autori Alessandro Del Lago, con Non-persone. L’esclusione dei migranti in una società globale, del 2012 e Pietro Basso con Razzismo di Stato. Stati Uniti, Europa, Italia (2015). La rappresentazione dei migranti sullo schermo può essere influenzata negativamente da molteplici fattori, come la tendenza a generalizzare le complessità associate all’immigrazione o la drammatizzazione dei fatti di cronaca. È necessario considerare l’intero contesto sociale e politico in cui si colloca il cinema di migrazione, nonché l’importanza dell’educazione civica e del dialogo aperto per promuovere una comprensione più approfondita delle questioni migratorie soprattutto dalla prospettiva dei migranti. Fabio Perocco, autore del saggio “L’Italia, avanguardia del razzismo europeo”, un capitolo del volume citato Razzismo di Stato (Basso, 2015), parla di una vera e propria persecuzione dei migranti, con il loro asservimento in un contesto di “assimilazionismo” privo di un vero spirito di “assimilazione” (Perocco: 387-422). Allo stesso modo, Marco Ferrero esprime le sue preoccupazioni su queste larvate forme di razzismo nel suo saggio “Il pacchetto sicurezza: dall’integrazione subalterna degli immigrati alla loro criminalizzazione” (Ferrero: 423-466). Si vedano, a tale proposito, i film Cover Boy: l’ultima rivoluzione, di Carmine Amoroso (2006) e Il resto della notte, di Francesco Munzi (2008) di cui sono protagonisti dei romeni non integrati. In generale, i film che affrontano tematiche sociali controverse, come il dibattito politico sulle migrazioni, tendono a suscitare reazioni intense come nel caso del film di Bobby Paunescu Francesca (2009). Quando si parla del conflitto tra il clima politico vigente in una nazione, attualmente di destra, e il concetto umanitario dell’accoglienza dei migranti, è importante considerare che le opinioni pubbliche e politiche possono divergere. In una situazione in cui il clima politico è incline a posizioni restrittive sull’immigrazione, gli atteggiamenti verso i film che promuovono l’accoglienza dei migranti potrebbero essere polarizzati. Alcuni spettatori potrebbero apprezzare e sostenere la rappresentazione umanitaria dei migranti nei film, trovando valore nell’esplorazione delle loro storie. Si spera che il cinema di migrazione possa generare empatia verso i migranti, come Mar Nero, di Federico Bondi, aiutando la cultura di arrivo a sfatare stereotipi e a promuovere un dialogo più aperto sul tema come mi auguro che avvenga.
A chi si volesse approcciare per la prima volta al cinema romeno che film consiglia?
Per chi fosse interessato ad avvicinarsi all’estetica e alle tematiche della Noul Val romena, consiglio di partire dalla genesi di questo movimento cinematografico e visionare il film di Cristi Puiu Stuff and Dough/Marfa și banii (2001). Allo stesso tempo, l’opera del regista Cristian Mungiu, dal titolo 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni /4 luni, 3 săptămâni şi 2 zile (2007), è esemplificativo dello stile minimalista e delle tematiche che caratterizzano la tendenza del movimento Noul Val tra cui la misoginia con episodi di violenza fisica e psicologica contro le donne. 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni, vincitore della Palma d’Oro al Festival di Cannes 2007, racconta appunto la storia dell’esperienza traumatica dell’aborto illegale della protagonista Găbi, che si evolve in una drammatica disavventura quando Găbi e la sua compagna di stanza, Otilia, finiscono per essere abusate sessualmente dall’ostetrico non professionista, il signor Bebe. È importante sensibilizzare il pubblico al problema della violenza contro le donne.
Tornando al suo libro, quali sono le forme di dialogo che intercorrono tra il cinema italiano e quello romeno?
Nel contesto del cinema europeo, il cinema italiano e quello romeno hanno sviluppato una
certa affinità e delle chiare consuetudini al dialogo. Entrambi i Paesi hanno affrontato tematiche legate alla migrazione e hanno prodotto film che esplorano le sfide, le esperienze e le conseguenze della migrazione. Queste forme di dialogo artistico hanno agevolato lo scambio culturale tra registi italiani e romeni e il loro pubblico, con evidenti influenze reciproche. Come ho già accennato, questo scambio ha portato alla formazione di co- produzioni e alla collaborazione tra registi italiani e romeni. Le sempre più frequenti collaborazioni cinematografiche tra i due Paesi hanno, altresì, favorito la condivisione di risorse, talenti e prospettive, creando un terreno comune per la discussione. In questo contesto, vanno ricordati i festival cinematografici internazionali, ma anche prettamente italiani e romeni, che hanno dedicato sezioni o programmi specifici alla migrazione, presentando i film di entrambi i Paesi. Queste occasioni hanno offerto preziose opportunità
per lo scambio e la discussione tra registi, critici e pubblico, promuovendo un dialogo trasversale con interviste, articoli e tavole rotonde. Ciò ha intensificato la riflessione critica sulle esperienze migratorie a livello accademico. Naturalmente, a questo dialogo contribuiscono anche gli studi accademici come il mio, che hanno un interesse per gli studiosi e gli esperti di cinema in Italia e Romania. Nel mio volume, uno degli aspetti che tratto affronta il rapporto tra spazio e tempo del viaggio, considerato in relazione ai processi cognitivi stimolati dalle sue narrazioni, e, nel rilevarli, presenta le difficili circostanze di partenza dell’esule e le evoluzioni dell’azzardo migratorio, intrapreso come alternativa di vita. Rimando alla lettura del mio libro Lo sguardo dialogico per ulteriori informazioni sul mio percorso critico.
Quanto studio storico c’è dentro al suo libro?
Nel contesto della mia monografia, la ricerca storica delle fonti è stata importante perché ha fornito una base solida e affidabile per la trattazione del tema in quanto supporto all’analisi critica. Dunque, la ricerca storica delle fonti è stata fondamentale perché mi ha permesso di valutare in modo critico diverse prospettive ed interpretazioni dei fatti reali, rappresentati creativamente. Per l’analisi del contesto storico, ho preso in considerazione gli eventi storici degli ultimi 50 anni in Romania che hanno dato vita alla migrazione dei romeni verso altri paesi europei tra cui il regime comunista di Nicolae Ceaușescu, la sua caduta nel dicembre 1989 in seguito alla rivoluzione romena del 1989 e la rivolta di Timișoara ed infine l’adesione all’Unione Europea nel 2007. Ne deriva che la storia della Romania sia particolarmente connessa alla produzione dei film su questi temi anche rispetto alla tensione tra le istanze di libertà espressiva degli artisti ed il controllo che lo stato esercita sulla migrazione. Il capitolo 2 del libro offre una disamina del contesto storico e culturale dal quale è emerso il cinema romeno pre e post dittatura. Per la realizzazione di questo volume è risultato fondamentale consultare gli archivi cinematografici romeni Arhiva Națională de Filme, situati a Bucarest, dove ho avuto modo di condurre una ricerca storica sui rapporti che intercorrono tra cinema romeno e cinema italiano.
A cosa sta lavorando ora?
Alla luce di tutti i conflitti globali che stanno avendo luogo, la migrazione continua ad essere un tema molto importante nel mondo, che merita ulteriori approfondimenti. Attualmente sto lavorando ad una pubblicazione sul cinema di migrazione con la Caritas e Migrantes, mentre continuo a svolgere le mie ricerche accademiche nell’ambito del cinema transnazionale e diasporico dalla prospettiva dei migranti.