Pupi Avati è stato protagonista ad Arena Monteverde di uno speciale evento dedicato al suo ultimo film. Abbiamo avuto la possibilità di intervistarlo.
Ancora una volta la piazza capitolina ci offre uno splendido evento, noi eravamo presenti e abbiamo avuto, grazie all’organizzazione, il grande onore di intervistare un maestro assoluto del cinema come Pupi Avati.
La quattordicesima domenica del tempo ordinario, la possibilità di raccontare un periodo importante della nostra storia come il boom. Che emozioni ha provato?
“Il film racconta quello che so io della vita nei riguardi dei sogni che si fanno, che tutti i ragazzi legittimamente fanno a 15-16 anni e la porzione di quei sogni che si realizza e quella no. Per alcuni rimangono dei sogni, altri rinunciano a questi sogni entro l’età della ragione nella quale preferiscono fanno i conti con la vita, altri invece sono destinati, ma sono rarissimi, a vederli realizzati. L’ho raccontato in un’età in cui penso di poterlo fare perché a 84 anni credo di poter dire cos’è la vita”.
Nel film c’è un’Edwige Fenech diversa, ritrovata. Come è stato lavorare con lei?
“Edwige Fenech, è stato delizioso lavorare con lei. Le abbiamo dato una possibilità che non aveva mai avuto e cioè recitare veramente, in un film vero. All’inizio era sempre doppiata, poi veniva scelta per la sua avvenenza non dico in scene erotiche ma dove si mostrava più la parte fisica che quella interiore. Qui ha interpretato per la prima volta il ruolo di un essere umano, di una persona vera che ha una certa età e i problemi di una donna di una certa età”.
Lei ha scritto un capolavoro di genere come La Casa dalle finestre che ridono e l’horror è stato importante per lei. Come mai vi è passato per poi uscirne e rientrarvi?
“Adesso farò a ottobre, se il Signore mi assiste, un film horror e gotico tra gli Stati Uniti e il Comacchio, anche quello è un film di genere. Ogni tanto c’è bisogno di verificarsi attraverso il genere che è una palestra che ti insegna cos’è il cinema, come ottenere le emozioni al cinema. Se non fai il genere difficilmente riesci”.
C’è qualcuno dall’alto della sua carriera con cui avrebbe voluto collaborare, ma che per un motivo o per l’altro con cui non ha avuto modo di farlo?
“Ci sono stati due attori che si erano candidati. Uno è Marcello Mastroianni e l’altro Alberto Sordi. Avevo pensato a delle proposte narrative interessanti. Mastroianni però si ammalo e Sordi ritenne la proposta un po’ troppo piccola, voleva fare il protagonista, probabilmente ho sbagliato io”.
In che condizioni di salute è il cinema italiano?
“Il cinema italiano è in uno stato di salute ottimo. Ci sono un’infinità di registi che finalmente non fanno solo commedie, pensano anche a raccontare cose più importanti, più alte, di livello, più ambiziose. Purtroppo non c’è il pubblico nelle sale, ma le arene sono miracolose e dove vado faccio sempre sold out. Improvvisamente l’estate la gente sembra aver voglia di tornare al cinema, succede qualcosa di commovente. Dal palco osservare la platea di un cinema pieno è un’esperienza oggi quasi mistica.
C’è qualcuno che le piace particolarmente e magari anche un Pupi Avati del futuro?
“Pupi Avati del futuro? No, Pupi Avati è Pupi Avati e gli altri sono gli altri. Ognuno ha la sua identità. Ci sono dei registi che ammiro moltissimo, uno è Garrone, i fratelli Innocenzo, Sorrentino in alcune cose mi è piaciuto molto. Ci sono fenomeni italiani che si sono imposti nel mondo e hanno manifestato una loro identità forte senza accodarsi a modi e maniere. Poi c’è un cinema commerciale che transita dalla sala ma è come se non ci andasse ed è fatto per lo schermo televisivo”.
Maestro, qual è il suo sogno a 84 anni, se ce l’ha?
“Il mio sogno è quello di non accorgermi di dire “Motore, azione” e non essere io a dire stop”.