Sappiamo ormai molto bene (grazie ai tanti studi sull’argomento, tra cui quelli di Pezzotta, Curti, Della Casa, Gomarasca e Pulici) quanto Bava abbia contribuito al successo in Italia e all’estero di alcuni generi del cinema italiano, in particolare l’horror gotico e il thriller. Per anni Bava è stato etichettato (un pò anche a causa di alcune sue stesse dichiarazioni) come “l’artigiano che sa fare bene con poco” e ci si è chiesti se ci fosse, e come fosse, la sua autorialità. I fan e gli appassionati, infatti, hanno sempre utilizzato gli stessi criteri di giudizio delle elite culturali contro cui si sono sempre schierati e si sono mossi alla ricerca della sua Identità culturale-nazionale, della sua impronta stilistica e della sua coerenza tematica arrivando a sostenere l’ipotesi di un autore costretto all’artigianalità da un’industria cinematografica italiana miope e diffidente nei confronti di alcuni generi. In realtà, e non sono certo il primo a dirlo, Bava si è sempre trovato bene nelle produzioni piccole e improvvisate, come quella di Operazione paura, ad esempio. Sicuramente ha il merito, insieme ad altri, di aver inaugurato e introdotto alcune novità in un cinema italiano che ha sempre guardato con sospetto i racconti macabri e fantastici.
Tutti i film di Bava mi hanno sempre divertito molto. Ho avuto la fortuna di vedere i suoi film fin dal lontano 1988 – quando circolavano copie di pochi suoi film in VHS di terza o quarta generazione, quindi di qualità molto scarsa – grazie a un amico collezionista. Da allora ho visto e rivisto tutti i suoi film più volte, diciamo ogni volta che si rendevano disponibili in qualità migliore su nuovi supporti. A fine anni 90 circa vidi alcuni film in pellicola in una rassegna milanese e rimasi, vendendoli finalmente in buona qualità, del tutto folgorato. Allora eravamo tutti fan di Argento. E Bava ha rappresentato la risposta alla domanda di dove fossero le origini storiche di quel tipo di cinema portato alla ribalta da Argento. Su questa questione ne sono nate delle dispute abbastanza sterili, ma che hanno spinto verso la giusta direzione di un recupero e una valorizzazione storica di quel cinema di genere italiano, di cui Bava è senza dubbio uno degli autori più importanti per quantità e qualità di film prodotti. Personalmente i film di Bava che mi hanno sempre affascinato di più sono, banalmente, Sei donne per l’assassino, I tre volti della paura, La maschera del demonio, Operazione paura, Reazione a catena e Schock, di cui rimasi traumatizzato dal solo racconto della trama che mi fece mia sorella maggiore dopo il suo passaggio televisivo negli anni Ottanta quando non avevo neanche 10 anni. A questi aggiungo La Venere d’Ille, l’episodio diretto da Bava e dal figlio Lamberto, tratto da un racconto di Mérimée, per la serie I giochi del diavolo prodotta dalla RAI nel 1979. Anche in questo caso siamo di fronte ad una costruzione del mondo fantastico ben riuscita.
Ognuno di loro è un mondo a sè. Ci sono senza dubbio dei punti di contatto, ma vedo soprattutto delle differenze. Evitando di dare giudizi di valore, posso dire che ognuno di loro ha, a suo modo, motivi di interesse e anche dei limiti che è necessario saper riconoscere. Hanno avuto carriere molto diverse con esiti altalenanti. Tutti e tre hanno realizzato grandissimi thriller. Argento ha realizzato un film, Suspiria, che come Operazione paura, lavora bene e attentamente il tema del fantastico. L’horror più estremo e viscerale, assente in Bava, ha un solo esito interessante in Argento, ovvero Phenomena, mentre è predominante in una buona parte della carriera di Fulci. insomma, meglio non fare classifiche e sceglierli tutti e tre.
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