Per Joker Edizioni Erminia Passannanti ha scritto il libro “Il Corpo & Il Potere: Salò o le 120 Giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini”. L’abbiamo intervistata in esclusiva.
Film controverso e molto criticato, censurato e di cui si è discusso. La Professoressa Passannanti ci spiega più da vicino il film.
Ci spiega meglio il titolo? Perché Il Corpo & Il Potere?
Il titolo del mio primo libro sul cinema di Pasolini, Il Corpo & il Potere, si sviluppava di fianco ad un capitolo della mia tesi Ph.D. in Letteratura italiana contemporanea allo University College London in Inghilterra dove ero impegnata in una ricerca sull’opera del poeta, critico letterario ed intellettuale militante di sinistra, Franco Fortini, di cui Pasolini era amico e, da un certo punto in poi, l’antagonista di un aperto scontro ideologico in televisione, su quotidiani e riviste. Le suggestioni per l’analisi critica del Salò o le 120 Giornate di Sodoma (1975) scaturiscono da una interrelazione di argomenti che hanno a che fare con la prospettiva di Fortini sulla letteratura impegnata post-Neorealista, in linea con i suoi modelli Bertold Brecht e Theodore Adorno, e, di conseguenza, su quella di Pasolini, che al contrario proponeva un discorso politico da portare dinanzi al pubblico mediato dagli strumenti della lirica, e dunque sulla sua idea di un “cinema di poesia”. L’impostazione critica è derivata dalle suggestioni tratte dall’opera filosofica di Michel Foucault in Surveiller et punir: Naissance de la prison (1975) e da tutti i suoi scritti che coinvolgono il tema del potere e la disciplina imposta al corpo (anche in senso extra individuale, come corpo della massa popolare) dagli organismi che direttamente e burocraticamente lo amministrano, dalla giurisprudenza, al sistema dell’Istruzione pubblica, fino alla medicina, specie alla psichiatria.
Entrambi Paolini e Fortini erano addentro all’attualità in modo dinamico e intenso. Nella seconda metà degli anni ’50 e i primi anni ’60, in Italia, l’attualità fu caratterizzata da importanti cambiamenti storici ed economici che ebbero un impatto significativo sulla società, la cultura e l’industria cinematografica e letteraria. Durante questo periodo, che coincide con l’immediato dopoguerra e la decade successiva, l’Italia stava ancora cercando di riprendersi dai danni causati dal ventennio del Regine Fascista di Benito Mussolini, dalle devastazioni della Seconda Guerra Mondiale mentre la nuova Repubblica si concentrava a sollevare l’economia del Paese e a istruire il popolo ai principi democratici. Questo periodo fu caratterizzato da un forte desiderio di cambiamento e rinnovamento, con una crescente consapevolezza politica e sociale anche tra la popolazione grazie all’impegno degli scrittori antifascisti iscritti al partito comunista e al partito socialista, il cui scopo era riformare innanzitutto la consapevolezza delle cosiddette “masse popolari”, acculturandole. Il proletariato di quegli anni, urbano e agricolo, che si trova in tutti i film di Pasolini, dunque anche in Salò, non era lo stesso ceto sociale di oggi, e aveva risorse minime, spesso brutali e violente, per sollevarsi dalla miseria come raccontano tante poesie di Pasolini composte nella Capitale (Poesie romane) ed i suoi noti romanzi Una vita violenza e Ragazzi di vita.
In quegli anni, l’interesse di Fortini per la questione dell’impegno degli intellettuali sul piano critico speculativo e su quello della prassi seguiva tutte le tappe di Pasolini nel suo passare dalla poesia, alla critica militante, all’insegnamento nelle scuole pubbliche delle borgate di Roma, fino al cinema come sceneggiatore e regista, di cui fu certamente mentore il romanziere e amico, Alberto Moravia. Da questa relazione intensa, nacque successivamente la monografia di Fortini Attraverso Pasolini. Non si può comprendere appieno come Pasolini potesse essere giunto a realizzare il film più censurato del cinema italiano, il Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975), con una escalation dai suoi primi romanzi a carattere sociologico dove si assiste ad una rappresentazione, per quanto lirica, anche cruda e realistica della vita quotidiana degli italiani del ceto proletario, Ragazzi di vita (1955) e Una vita violenta (1959), e i film Accattone (1961) e Mamma Roma (1962), ancora ispirati al neorealismo di Vittorio De Sica e Roberto Rossellini, se non si conosce questa fase storica e il conseguente dibattito intorno al ruolo dell’artista nella società. Dal punto di vista storico, l’Italia si trovava nel periodo della cosiddetta “Ricostruzione” post-bellica. L’obiettivo principale era quello di ricostruire il paese fisicamente e istituzionalmente, nonché di risolvere i problemi socio-economici causati dalla guerra. Questa fase portò non solo al miracolo economico ma implicò un aumento esponenziale della corruzione in diversi ambiti istituzionali, politici ed economici con la piaga del clientelismo anche dinanzi alla Magistratura.
Gli anni sessanta furono non solo anni di progresso e ricostruzione, ma anche anni di violenza, scandali, urbanizzazione abusiva senza controllo e processi per corruzione, fomentatori del terrorismo di gruppi di estrema destra ed estrema sinistra come i Nuclei Armati Proletari (NAR), Prima Linea, Ordine Nuovo, Settembre Nero, le Brigate Rosse (BR), e Azione Rivoluzionaria che resero molte grandi città italiane teatro di stragi ed attentati. In questo decennio Pasolini idea e produce non solo pellicole intorno alla figura di un Cristo carismatico, come egli stesso, polemico e dissidente verso il potere e i suoi nessi oscuri con la mafia e la religione di stato (di cui parlo nel volume Il Cristo dell’eresia), come accade ne La ricotta (episodio del film Ro.Go.Pa.G., 1963), Il Vangelo secondo Matteo (1964), Uccellacci e uccellini (1966), e Teorema (1968), ma anche film di accusa alla società borghese come Edipo re (1967), Porcile (1969), e Medea (1969). Queste narrazioni gradualmente estremizzano il discorso ideologico e l’estetica cinematografica di Pasolini, sfociando nella “Trilogia della Morte”, una serie di soggetti a sfondo intertestuale, che affrontano temi legati alla morte e alla violenza ed esplorano in modo sempre più radicale e visivamente scioccante temi decadenti, quali l’eros, la lussuria, l’ironia della condizione umana, l’ipocrisia sociale e le dinamiche di potere, inaccettabili per il pubblico e la critica benpensante di centro-destra. Si tratta del Decameron (1971), basato sul racconto di Giovanni Boccaccio, ambientato alla distanza nel XIV secolo durante l’epidemia di peste nera; I racconti di Canterbury (1972), ispirato ai racconti di Geoffrey Chaucer, ambientato in Inghilterra durante il XIV secolo; e Le mille e una notte (1974), che riprende le note favole arabe, ambientandole in diverse epoche e luoghi. Questo ricco intertesto agevola la componente densamente extratestuale in Salò, fatto di musica sacra e profana, segni epocali di consumismo, convenzione e trasgressione, moda e tendenze, attitudini al consumo incondizionato ed acritico dei consumatori dinanzi ai media, tra cui quello della pornografia.
Nella mia successiva tesi di ricerca Ph.D. per il mio secondo dottorato, questa volta in “Social Sciences and Media Communication”, affrontai la questione della censura cinematografica e, in particolar modo, della censura religiosa. Uno dei film di cui mi occupai fu appunto Salò o le 120 giornate di Sodoma, considerato una delle pellicole più controverse e provocatorie di Pasolini. La storia, che traeva ispirazione dall’opera del Marchese de Sade, affronta tematiche come il potere, la violenza, la corruzione e l’abuso sessuale e psicologico dei minori, rappresentati come studenti sottomessi a quattro sadici gerarchi-professori di una scuola della Repubblica nazifascista di Salò e alle loro perverse collaboratrici. A causa del suo contenuto estremamente disturbante, il film fu oggetto di intense critiche e dibattiti e di un procedimento di censura per direttissima con il sequestro del film durato venti anni laddove l’autore era già morto e fu condannato il produttore. La pellicola originale fu salvata a Londra da un centro cinematografico che la proiettò integralmente nei primi anni Settata nell’ambito del cinéma d’essai e ne preservò l’integrità senza tagli malgrado la brutalità del potere e dell’oppressione fossero rappresentate nei famigerati Gironi senza alcun senso del limite, e dove la critica sociale e politica, tramite l’utilizzo di simboli e metafore di tale violenza, raggiungesse un apice allegorico senza precedenti, ritenuto dalla censura italiana inaccettabile.
In Salò Pasolini opera una sintesi di tutto quello che in Italia, e non solo, costituisce l’orrore degli abusi del potere, — come teorizzerà dopo di lui Foucault nella citata Surveiller et punir (1975) e Les Anormaux: Cours au Collège de France (1974-1975) — con un’attenzione particolare alla citazione dall’opera di De Sade, Dante e da altre opere dell’intertesto (come io stessa commento nel dettaglio, scena per scena, nel mio libro Il Corpo & il Potere), insieme ad una precisione nella (ri)costruzione delle scene di stupro, oltraggio e blasfemia dei riti perpetrati nella villa di Salò, di esibizione e consumo di escrementi, di versamento di sangue, con rituali di punizione e strage, in cerimonie sacrileghe e coercitive dove compaiono simboli sacri celati (come il dipinto di una Madonna in Trono), presenze in absentia della congiunzione tra erotomania, educazione cattolica ed istruzione di stato, fascismo e religione.
Salò di Pier Paolo Pasolini è stato uno dei film più censurati e criticati della storia, secondo lei qual è il motivo? Sembra evidente, ma è interessante sentire la sua opinione.
Per rispondere all’altra domanda su quali fossero le ragioni per cui il Salò fu censurato: innanzitutto, parlavo dell’escalation della provocazione a cui Pasolini non si tirò indietro, subendo innumerevoli processi anche ingiusti per azioni e situazioni anche private, che gli costarono inizialmente l’espulsione dal PC e successivamente il risentimento di certa parte dell’opinione pubblica, specie romana, che trovava scandalosa la sua attitudine, interpretandola come arroganza. In effetti, quella di Salò fu una censura annunciata, se si pensa che un film a soggetto religioso, come La ricotta subì nel 1962 una condanna per vilipendio della religione, una circostanza di cui discuto nella mia altra monografia sul cinema di Pasolini, Il sacro trasgredito e che sviluppo nel mio libro successivo Il Cristo dell’eresia. Pasolini si figurava e prefigurava di patire una persecuzione simile a quella dell’eretico messia, il Gesù di Nazareth (dalla prospettiva dei sacerdoti del tempio) e proiettò questa immagine in molti modi e sotto diverse voci e sembianze, perfino nel misterioso visitatore della famiglia borghese, nella trama apparentemente secolare del film Teorema.
Il dissidente è sempre perseguitato, raggiunto e punito, in qualsiasi tempo e da qualsiasi latitudine, spiega Foucault in Sorvegliare e punire, dove il filosofo francese articola la sua illuminante analisi dei metodi e dei sistemi di punizione e controllo istituzionalizzati: il legame di causa ed effetto per cui il potere punisce e sorveglia i cittadini sono il motore ideativo stesso del suo funzionamento sulla base di un modello disciplinare che si è storicamente ed istituzionalmente evoluto e consolidato nel corso dei secoli. Questo modello si concentra sulla trasformazione e la normalizzazione dei corpi e delle menti degli individui, anziché unicamente sulla repressione dei comportamenti devianti. In Salò, Pasolini mostra esattamente come questo potere, rappresentato dai 4 gerarchi, sia all’azione nell’istituzione disciplinare della villa che funge da Quartiere Generale della Repubblica di Salò, un luogo che è al contempo una scuola, un bordello, una prigione e all’interno del quale i giovani italiani catturati dai nazi-fascisti sono sorvegliati, disciplinati e corrotti alla logica e alle regole del sistema “corpo-potere”, come teorizzo nel mio volume Il corpo & il potere.
Il potere disciplinare in Salò conferisce allegoricamente forma a tecniche che includono non solo la gerarchia, con la presenza inquietante di collaboratrici-narratrici e di giovani collaborazionisti, ma lo stretto controllo dello spazio fisico e mentale dei giovani internati, la suddivisione dei tempi, l’organizzazione programmatica delle attività, la vigilanza, la registrazione dei comportamenti, la classificazione, l’esame, lì eseguito sempre imponendo la nudità agli esaminati, l’obbedienza totale, pena le sevizie e la morte. Si tratta di una metafora assoluta, che porta il discorso oltre il fascismo, dritto dentro la società, la politica e la cultura dell’Italia sua contemporanea, che Pasolini vede aggrappata alle istituzioni mai decadute del passato regime fascista, tra cui la magistratura, la pubblica istruzione, le forze di polizia e la chiesa. Si tratta di un discorso che si allaccia, ne Il Vangelo secondo Matteo (6 settembre 1964) di Pasolini, al destino di Gesù, il Cristo, soggetto allo stesso procedimento di persecuzione, censura, interdizione e punizione con un processo sommario e la condanna a morte in croce.
Se penso che ci sarà mai un altro Pasolini? La risposta è no e sì, allo stesso tempo, data l’unicità di ciascun individuo e di ciascuna mente di artista con la sua originalità e i suoi cult movie: ci sono stati e ci saranno registi ugualmente provocatori e dissacratori, che sul suo esempio hanno rischiato e rischiano procedimenti penali di censura, come Terry Jones, autore del Montephyton’s Life of Brian (1979) e Giambattista Ciprì e Leonardo Maresco, registi di Totò che visse due volte (1998) e Belluscone. Una storia siciliana (2014), tutte trame satiriche che impiegano il grottesco per portare sugli schermi una critica del potere, ugualmente censurati per un uso osceno e/o offensivo delle figure sacre e di personaggi politici di primo piano.
Lei parla di passato e presente di Salò, ci sarà anche un futuro? Verrà rivalutato questo film?
Se ci sarà un futuro di ripresa per la visione di Salò di Pasolini? Personalmente non credo essere riproponibile sia contenutisticamente sia visivamente, tranne che appunto nei circuiti della ricerca teorica e del cinema sperimentale, anche se le situazioni che il Salò ritraeva della crudeltà e dell’infamia del potere continuano a ripresentarsi per la legge dell’eterno ritorno. Ricordo quando assistetti per la prima volta al Salò in un grande cinema di Napoli e giunti al “Girone della merda” una fiumana di spettatori visivamente traumatizzati si alzò dirigendosi verso l’uscita, profferendo commenti di schifo e riprovazione.
Ma ero giovane e volevo vedere dove il film mi volesse condurre metaforicamente: mi condusse ad essere testimone della punizione realistica ed insieme espressionistica che consisteva nel taglio della lingua di uno dei ragazzi prigionieri, legato e denudato, ovvero alla metafora estrema di cosa, in effetti, sia la censura. Pasolini, massacrato ad Ostia, pagò con la vita la sua libertà di critica e rappresentazione, vittima di una estrema punizione inflittagli per mano di un forse non “circostanziale” assassino. Pur tuttavia, questo film “inguardabile”, dal carattere insieme tragico e satirico, con scene di una brutalità epigrammatica, e dalla cifra stilistica oltremodo espressionistica ha, a mio avviso, un valore didattico universale, affrontando come fa antropologicamente il nucleo corrotto della violenza e presentando la visione pessimistica della natura bieca del potere come una favola orrifica, con al centro l’Orco e le sue innocenti vittime, per una tendenza atavica ineradicabile, connaturata all’essere umano, al suo istinto.
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