Davide Pulici, storico fondatore di Nocturno, ci ha lasciato un’intervista su L’alternativa il cinema selvaggio di Milano.
Critico d’arte e persona dallo spessore professionale incredibile è un vero stakanovista della scrittura, uno che ama il cinema a 360°. Abbiamo avuto il piacere di farci una chiacchierata.
A volte sembra che il cinema italiano rappresenti e porti all’estero solo la città di Roma, la capitale. Non è così in realtà, perché da fin troppo tempo la città eterna è diventata rappresentativa ma la vera attenzione si è rappresentata a Milano. Cosa hai voluto raccontare con L’Alternativa?
L’Alternativa dichiara fin dal titolo l’oggetto del libro. Appunto, la possibilità che Milano ebbe, per un certo periodo, temporizzabile tra l’inizio degli anni Sessanta e la fine del decennio successivo, all’incirca, prima della montata delle televisioni private, di diventare un polo cinematografico importante. Alternativo allo stradominio del cinema romano. La cosa rischiò, soprattutto nel cuore degli anni Settanta, di diventare una realtà efficiente e importante: Milano attirava, per una serie di ragioni che cerco di identificare nel mio libro, l’interesse anche dei cinematografari romani, al netto dell’organizzazione che si era venuta a creare in città, soprattutto, credo, perché offriva scenari nuovi e inediti, rispetto allo skyline dell’Urbe. Per due o tre stagioni, diciamo intorno al 1972, 1974, 1974, il cinema milanese alzò potentemente la testa e se si leggono i quotidiani di quel periodo se ne trova ampia testimonianza, anche da parte di non addetti ai lavori. Cioè, fu un fenomeno molto sensibile. Ma più che sull’ “invasione” del cinema romano alle nostre latitudini, nell’Alternativa mi sono concentrato su chi, registi, produttori, anche attori, hanno cercato di manovrare a Milano essendovi nati e avendovi operato senza mai cedere completamente alle lusinghe e alle sirene, diciamo così, di Roma. Parliamo di personaggi eterogenei, come potevano esserlo Ermanno Olmi da un lato e Cesare Canevari dall’altro, artefici di un cinema molto diverso, ma credo accomunati da una sensibilità prettamente “nostra”. E questo nelle loro opere penso emerga bene e molto chiaramente.
L’Alternativa è un libro che ci permette di viaggiare attraverso a universi che non conoscevamo prima, cosa consigli a chi si accinge a leggere il libro?
Il consiglio è, ovviamente, di munirsi di alcuni film che considero e che sono, oggettivamente, basilari per afferrare qualcosa della “milanesità”. Gran parte della produzione di Ermanno Olmi, con particolare riferimento ai film della sua prima fase, a cominciare da Il posto, ma arrivando a comprendere anche Una domenica d’estate. Di Cesare Canevari, direi che è imprescindibile Io, Emmanuelle, ma anche Una jena in cassaforte, per rendersi conto di come anche una produzione di genere riuscisse ad assumere un’identità forte e molto connotata. Dopodiché, l’intero libro è uno slalom tra film oggi poco ricordati, eppure molto significativi rispetto, anche, alla possibilità di esprimere un potente spirito milanese. E amo sempre citare l’esempio di Gli assassini sono nostri ospiti, del mio amico Vincenzo Rigo. Ma è davvero uno tra i moltissimi che il lettore incontra nelle pagine dell’Alternativa.
Quanto di te c’è dentro questa scrittura e come ti ci sei approcciato?
Dentro questa scrittura c’è tutto me stesso, come nella totalità che produco. Non ho mai cercato di mantenere un approccio distanziato e accademico, che mi ripugna. Il progetto dell’Alternativa nasce dalla frequentazione che per anni ho avuto con i protagonisti del cinema milanese, dei quali sono andato raccogliendo i racconti e le testimonianze. Non aveva bene idea di cosa ne avrei fatto, di tutta questa mole di materiale. O meglio: sapevo che un giorno ne avrei ricavato un libro, ma aspettavo il momento giusto. E la scorsa estate, mi è arrivato l’estro per passare all’azione. Ho cercato, non so quanto riuscendoci, di mantenere, per le parti diciamo testimoniali, il movimento e il pathos che c’era nei racconti dei miei interlocutori. Questo, soprattutto, mi premeva.
Cosa pensi del cinema di oggi legato a Milano e ciò che vi ruota intorno?
Cosa ne penso del cinema milanese di oggi… Con il cinismo che servirebbe, risponderei: tutto il male possibile. La verità è che, non esistendo alcun cinema milanese, oggi, devo dire che non posso pensare niente. A l di là delle battute, comunque, Milano entra come quinta in parecchi film italiani (o italioti, come si preferisca), ma oltre a questo effetto cartolina, direi che la città è assente. Ne è assente lo spirito, che si è ampiamente modificato rispetto a quelle ere cinematografiche alle quali faccio riferimento nell’Alternativa, e che sarebbe invece interessante qualcuno cercasse di restituire. Oggi, Milano è diventata, per dire, come Londra, andando incontro a una mutazione terribile: ma sarebbe vano attendersi da qualche cinematografaro, locale o non, l’illustrazione di questa metamorfosi. I giovani vivono in questa città all’oscuro totalmente del suo passato. E i vecchi, come me, non ci si ritrovano. Ma ripeto: qualcuno che riesca potentemente a rendere la nuova Milano, non c’è. O almeno, io non lo vedo…
Cosa manca al cinema italiano oggi?
anca il cinema, mi verrebbe da dire con lo stesso cinismo con cui iniziavo a rispondere alla domanda precedente. Non c’è il cinema, se non quello che vive in dimensioni lontane dal pubblico. C’è il cinema dei Festival, grandi o piccoli, che resta un’entità astratta e lontana. Materia dei dibattiti nella sola comunità dei critici. Non c’è il cinema della gente e per la gente. C’è solo un cinema per delle élite (termine che non uso assolutamente in accezione positiva, tutt’altro). Il cinema è morto. Come le sale.