La storia è costellata di donne straordinarie che, con la loro arguzia, sono in qualche modo riuscite a lasciare un solco indelebile nella memoria collettiva. Tra queste c’è sicuramente Franca Valeri, talentuosa attrice di teatro e cinema, sceneggiatrice e regista, tra i volti più iconici della storia cinematografica nostrana, che oggi – 31 luglio del 2020 – soffia cento candeline. Con qualche acciacco, ma con la lucidità, l’irriverenza e il talento che sono ormai il suo biglietto da visita. Quest’anno le è stato assegnato il David Speciale 2020 in occasione della 65esima edizione dei David di Donatello.
Il racconto di Franca Valeri
A 100 anni di età, Franca Valeri porta sulla sua pelle un pezzo di storia italiana. Figlia di madre cattolica e padre ebreo, nel 1938 vive in prima persona l’atrocità delle leggi razziali, che la privarono della possibilità di avere un’infanzia normale. «Ricordo quando lesse sul giornale la notizia delle leggi razziali e pianse. Fu il momento più brutto della mia vita», ha dichiarato nel corso dell’intervista rilasciata al Corriere. Mentre il padre e il fratello trovarono rifugio in Svizzera, Franca e la madre riuscirono a sopravvivere alle deportazioni grazie a dei documenti falsi che gli furono rilasciati da un impiegato dell’anagrafe. E per il nostro Paese quella fu una grande fortuna.
La fine della Guerra
Quando la Guerra stava per giungere a conclusione, Franca Valeri decise di recarsi a guardare il cadavere del Duce a piazzale Loreto. «Mia mamma era disperata a sapermi in giro da sola. In quei giorni a Milano si sparava ancora per strada. Ma io volevo vedere se il Duce era davvero morto. Non ho provato nessuna pietà. Ora è comodo giudicare a distanza. Bisogna averle vissute, le cose. E noi avevamo sofferto troppo», ha dichiarato ancora durante l’intervista. «Per me la giovinezza incominciò il 25 aprile: una giovinezza tardiva. Ma è stata bella. In quell’Italia tutto pareva possibile», ha poi aggiunto.
Una straordinaria carriera
Il resto è storia. Franca Valeri decise che, proprio quell’Italia dove tutto sembrava possibile, lei voleva diventare un’attrice. E ci riuscì come poche altre donne seppero fare. Il debutto arrivò negli anni Cinquanta grazie a Federico Fellini, che la scritturò per Luci del varietà, co-diretto assieme ad Alberto Lattuada. E poi, passo dopo passo, riuscì a ritagliarsi un posto insostituibile nel panorama cinematografico italiano. Lavorò con alcuni dei più straordinari registi nostrani – non solo Fellini e Lattuada, ma anche Risi, Monicelli e Steno – e accanto a mostri sacri come Alberto Sordi e Totò. E divenne lei stessa mostro sacro, donna encomiabile dall’indiscutibile talento cristallino, da cento e per cento anni ancora.