Ha fatto strike ancora una volta. Anzi, quest’anno ha completamente sbaragliato gli avversari, quasi non ci fosse gara, quasi non ci fosse possibilità di competere contro di lui. “Dogman” di Matteo Garrone è il vincitore assoluto della sessantaquattresima edizione dei David di Donatello, il fuoriclasse totale, l’asso pigliatutto della scorsa annata del cinema italiano. Quindici candidature che si sono trasformate in nove statuette, un record per il regista romano di “Gomorra” (sette David), “Reality” (tre David) e “Il racconto dei racconti” (sette David), intento in queste settimane a girare la sua personale versione di “Pinocchio”. Va detto che, negli anni in cui i precedenti film di Garrone erano in gara, la concorrenza era stata forse più agguerrita, e che quest’anno i titoli realmente capaci di portarsi a casa i premi erano più deboli rispetto a “Dogman”. Fatto sta che la pellicola ispirata alla terribile storia di cronaca romana del Canaro ha trionfato in tutte le categorie più importanti: miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura (Garrone insieme a Ugo Chiti e Massimo Gaudioso), miglior attore non protagonista (lo straordinario Edoardo Pesce), miglior fotografia (Nicolaj Brüel), miglior montaggio (Marco Spoletini), miglior scenografia (Dimitri Capuani), miglior trucco (Dalia Colli e Lorenzo Tamburini) e miglior suono. Insomma, tutti gli elementi costitutivi di un lungometraggio hanno raggiunto l’eccellenza, secondo la ringiovanita giuria dell’Accademia dei David di Donatello, presieduta per la prima volta da Piera Detassis.
E’ “Dogman” di Matteo Garrone il film trionfatore ai David di Donatello 2019
Compatto, potente, emozionante, “Dogman” è uno di quei film che non possono lasciare indifferente lo spettatore, che ti colpisce per le sue indubbie qualità visive ma soprattutto per quella storia a tratti commovente, a volte respingente, urticante ma che mette in campo sentimenti e pulsioni nei quali ognuno si può riconoscere: l’impotenza di fronte a situazioni più grandi di noi, la frustrazione, la solitudine, il sentirsi diverso rispetto agli altri e a volte inferiore. Ha vinto un film solido, che rimarrà sicuramente ben impresso nella storia della cinematografia di casa nostra, e che si era già fatto notare allo scorso Festival di Cannes (dove il protagonista Marcello Fonte aveva vinto il premio per la miglior interpretazione maschile), agli European Film Awards (dove aveva conquistato tre statuette) e alla scorsa edizione dei Nastri d’argento (otto premi). Meritato il David alla regia di Matteo Garrone (il suo terzo premio di categoria) che ha commentato “Speriamo che, se i televisori diventano sempre più grandi, le sale cinematografiche non diventino sempre più piccole”. Ancor più giusto il premio come miglior attore non protagonista a Edoardo Pesce, intenso e spaventoso nel ruolo del tremendo pugile Simoncino: “Mi meritavo un po’ più Golia, questa statuetta è il finale del film con il David che ha ai piedi il Golia” ha scherzato l’attore romano con la statuetta in mano.
Edoardo Pesce vince il suo primo David per l’interpretazione da non protagonista in “Dogman”
Insomma, per “Dogman” un trionfo totale e atteso, arrivato senza alcuna sorpresa, in tutte le categorie più di peso. Tranne in quella di miglior attore protagonista, dove il bravo Marcello Fonte è stato sbaragliato dallo straordinario Alessandro Borghi, perfetta incarnazione di Stefano Cucchi in “Sulla mia pelle” di Alessio Cremonini. Un’interpretazione indimenticabile quella del trentaduenne attore romano, così perfetta e convincente da lasciare senza fiato, al punto che chiudendo gli occhi e ascoltando parlare Borghi si aveva l’illusione di sentire Cucchi. Notevolissimo il lavoro fatto sulla voce, sulla postura, sul fisico (impressionante il dimagrimento dell’interprete, il suo essere emaciato e sfibrato per il ruolo), e sicuramente impegnativo lo sforzo psicologico affrontato dall’attore di “Napoli velata”, “Fortunata”, “Suburra” e “Il primo re”. “Grazie alle persone che mi arricchiscono, e alla mia famiglia, questo film è stato complicato e loro ne hanno pagato le conseguenze” ha commentato Borghi ritirando la sua statuetta. “Questo premio è di Stefano Cucchi e all’importanza di essere riconosciuti come esseri umani a prescindere da tutto”.
Alessandro Borghi, David per la miglior interpretazione maschile in “Sulla mia pelle”
Anche in questo caso la vittoria è arrivata senza particolari sorprese, e Borghi si è affermato sul bravissimo Marcello Fonte di “Dogman” (che può ritenersi comunque soddisfatto per i tanti riconoscimenti già portati a casa), sul mostro sacro Toni Servillo di “Loro” di Paolo Sorrentino (grande assente della serata, più volte evocato dal conduttore Carlo Conti e dagli ospiti sul palco), sul convincente Riccardo Scamarcio di “Euforia” di Valeria Golino, e su Luca Marinelli, credibile incarnazione di Fabrizio De André in “Fabrizio De André – Principe Libero”.
Se Borghi è stato proclamato “il più bravo di tutti” tra gli attori protagonisti, nell’analogo ambito femminile ha vinto Elena Sofia Ricci, perfetta nell’interpretazione di Veronica Lario in “Loro” di Sorrentino. La recitazione in sottrazione, la perfetta mimica facciale, la grande espressività gestuale, unite a un’indubbia somiglianza fisica con il personaggio reale, hanno regalato all’attrice fiorentina la sua terza statuetta, accolta con gioia e grande emozione. Alcuni hanno visto questo premio come un “contentino” per il ben poco considerato (e non completamente riuscito) film in due parti su Silvio Berlusconi, diretto dal regista de “La grande bellezza”; chi scrive non concorda con tale tesi, e gioisce per il trionfo di un’attrice che ha dato a “Loro 2” una ricchezza interpretativa e uno spessore che forse non avrebbe altrimenti avuto. “Vorrei dedicare questo premio alle mie figlie Emma e Maria e auguro loro di poter vivere della mia passione come ho fatto io” ha commentato l’interprete ricevendo il suo David. A bocca asciutta le colleghe Anna Foglietta, protagonista di “Un giorno all’improvviso”, Marianna Fontana (per “Capri revolution” di Mario Martone), Pina Turco (per “Il vizio della speranza”) e Alba Rohrwacher (per “Troppa grazia”).
Elena Sofia Ricci vince il David per l’incarnazione di Veronica Lario in “Loro 2”
E continuando a parlare di donne… Avrebbe potuto essere l’anno di Alice Rohrwacher e Valeria Golino, entrambe candidate nelle categorie miglior film e miglior regista, rispettivamente con “Lazzaro felice” ed “Euforia”. Ebbene, nulla di fatto, occasione persa, contro “Dogman” e Matteo Garrone che non hanno lasciato molto spazio agli altri. Peccato, perché “Lazzaro felice” aveva una purezza di sentimenti, una poesia e una delicatezza tali da meritare un po’ più di attenzione da parte dei giurati italiani (a Cannes 2018 il film aveva vinto il premio per la miglior sceneggiatura). Quanto a “Euforia”, Valeria Golino (dopo il bellissimo “Miele”) ha confermato di essere una regista coraggiosa, capace di scegliere temi forti (la malattia, i rapporti familiari, la morte) e di dirigere con fermezza gli attori.
Tra gli altri premi importanti della serata, spiccano senza dubbio il David alla miglior attrice non protagonista, andato per la prima volta alla grande attrice di teatro Marina Confalone per il film “Il vizio della speranza” di Edoardo De Angelis. Emozionatissima, alla sua sesta candidatura, l’attrice ha dedicato il premio alla Campania, “alla nostra terra, ai napoletani che hanno buona volontà e in particolare al mio compagno Gigi che ha molta buona volontà con me”.
Marina Confalone miglior attrice non protagonista ai David per “Il vizio della speranza”
Un po’ a sorpresa il premio al miglior regista esordiente, assegnato ad Alessio Cremonini per “Sulla mia pelle”: indubbio il talento e il lavoro svolto dal quarantaseienne cineasta romano, ma forse quel David avrebbero dovuto accaparrarselo i fratelli Damiano e Fabio D’Innocenzo, il cui film “La terra dell’abbastanza” è stato la vera rivelazione del 2018. Grande rimane il merito del film incentrato sull’ultima settimana di vita di Stefano Cucchi (che ha vinto anche il David Giovani), una pellicola di grande impatto cinematografico, produttivo (il film è targato Netflix) e ovviamente sociale.
E Luca Guadagnino con il suo “Chiamami col tuo nome”? Il regista (più acclamato all’estero che in Italia) è uscito dalla notte dei David di Donatello con un bottino decisamente magro, e molto simile a quello conquistato agli Oscar 2018: premio per la miglior sceneggiatura non originale (a James Ivory, Walter Fasano e Luca Guadagnino) e David per la miglior canzone “Mistery of Love” cantata da Sufjan Stevens. E pensare che partiva da ben dodici candidature!
Delusione anche per “Capri revolution” di Mario Martone: le tredici nomination della vigilia si sono trasformate in soli due David, nella categoria miglior musicista (per Sascha Ring e Philipp Thimm) e in quella per i migliori costumi, premio vinto da Ursula Patzak.
Insomma. Cosa ci rimarrà di questa edizione dei David? Quali cartoline resteranno nella nostra memoria? Almeno quattro. A parte i già citati vincitori, di sicuro chi scrive ricorderà l’eccessivamente lungo (e anche un po’ patetico) siparietto del cast di “A casa tutti bene” di Gabriele Muccino. Il film campione d’incassi (con oltre nove milioni di euro guadagnati) ha vinto il David dello spettatore, e per festeggiare il riconoscimento il regista e il nutrito cast (Carolina Crescentini, Stefania Sandrelli, Sabrina Impacciatore, Massimo Ghini, Stefano Accorsi, Giampaolo Morelli, Gian Marco Tognazzi tra gli altri) hanno intonato una penosa versione di “Dieci ragazze per me” di Lucio Battisti. Dimenticabile.
“A casa tutti bene” di Gabriele Muccino vince il David degli spettatori
Incantevole la bellezza di Uma Thurman, David Speciale 2019. Abito nero lungo con paillettes, capelli biondi raccolti, trucco leggero, la musa di Quentin Tarantino ha ringraziato per il prestigioso premio e ha voluto ricordare con grazia i suoi inizi italiani: “Ho cominciato la mia carriera qui, venendo a lavorare con Terry Gilliam per un film che aveva un grossissimo problema di budget, era “Il barone di Munchausen”.
Uma Thurman ha incantato il pubblico dei David di Donatello
Agghiacciante e imbarazzante la domanda di Carlo Conti a Dario Argento (anche lui David Speciale): “Che cosa le fa paura?” Sarà pure perfetto nel gestire i tempi televisivi e nel condurre trasmissioni così complicate, ma poteva pur prepararsi un paio di domande meno scontate, il caro Carlo Conti, che ha vinto il David virtuale nella categoria Miglior superficialità nella preparazione di una conduzione ad argomento cinematografico.
E che dire di Tim Burton? L’unica vera chicca della serata è stata la sua presenza sul palco dei David di Donatello: sempre sorridente dietro i grandi occhialoni blu, dimagrito ai limiti del dubbio sulle sue condizioni di salute, il grande regista di capolavori come “Edward mani di forbice”, “Ed Wood”, “Sleepy Hollow”, “Nightmare Before Christmas” e “La fabbrica del cioccolato” (a Roma anche per presentare il suo nuovo film “Dumbo”) si è dimostrato come sempre simpatico, alla mano e umile, nel suo ricordare il grande debito nei confronti del cinema italiano: “Sono cresciuto col cinema italiano, per me è un’emozione essere qui. Io non sono italiano ma gesticolo come un italiano. Vorrei che la gente fosse così carina con me anche nel mio paese. Sono cresciuto vedendo i film di Fellini, Bava, Argento, con alcuni ho anche lavorato Dante Ferretti, Francesca Lo Schiavo. Ci sono tanti film italiani sui mostri con cui sono cresciuto”.
Grazie per la tua carineria Tim. E scusaci se, invece, nell’organizzazione dei premi cinematografici non siamo così bravi come nel tuo paese.