Finocchiaro: “Una grande sfida recitare ne “La fuga”. Adesso giro con Emma Dante e Aurelio Grimaldi”

La depressione di una madre contro la voglia di vivere della figlia undicenne. Il carattere chiuso e scontroso del padre contro il desiderio di scoperta della bambina. I modi di vivere di una famiglia italiana contro quelli di un nucleo familiare rom. Parla di amicizia, fuga, sopravvivenza, rapporti genitori figli il film “La fuga”, piccola pellicola indipendente che è stata candidata all’Efa Young Audience Award 2018, e che arriva nelle sale dal 7 marzo.

 

Nel cast di quest’opera prima diretta dalla regista Sandra Vannucchi, ci sono Donatella Finocchiaro (“Terraferma, “Gli sdraiati”, “Capri Revolution”, fresca vincitrice del premio FICE 2018), Filippo Nigro (in questi giorni sul piccolo schermo con la seconda stagione di “Suburra” su Netflix), e le giovanissime Lisa Ruth Andreozzi ed Emina Amatovic.

“La fuga”, al cinema dal 7 marzo una storia di amicizia e depressione

La storia è quella di Silvia (Andreozzi), una bambina di undici anni studiosa e gioiosa. A casa la situazione non è semplicissima, con una mamma (Finocchiaro) affetta da una forte depressione che la sempre costringe a letto, e un papà (Nigro) un po’ introverso e a tratti ostile. Silvia ha un solo desiderio: andare a Roma per una breve vacanza di famiglia. Alle sue frequenti e insistenti richieste, il papà risponde in maniera sempre evasiva, e così la bambina decide di partire da sola da Pistoia per raggiungere la Città Eterna. Sul treno incontra Emina (Amatovic), una tredicenne rom con la quale, dopo un primo impatto difficile, diventa amica, e che la porterà alla scoperta di Roma e a contatto con la sua famiglia. Dal confronto tra culture e abitudini diverse, trarranno giovamento entrambe le protagoniste, in un finale di riconciliazione familiare e riappacificazione.
La pellicola soffre di alcune ingenuità e imperfezioni, ma va apprezzato lo sforzo produttivo e il grande lavoro svolto dalla regista Sandra Vannucchi, autrice anche del soggetto e collaboratrice alla sceneggiatura.

“La fuga”, opera prima di Sandra Vannucchi, con Donatella Finocchiaro e Filippo Nigro

VELVET: Di solito le opere prime contengono sempre degli aspetti autobiografici. E’ così anche in questo caso?
VANNUCCHI: Parte della storia si basa su fatti realmente accaduti: anche io sono cresciuta con una madre che soffriva di depressione clinica come la protagonista, e all’età di 10 anni ho preso il treno e sono fuggita a Roma. Nel mio caso, però, sono stata immediatamente acciuffata dai miei parenti alla stazione Termini: mio padre aveva scoperto subito che avevo preso un treno, aveva chiamato i miei zii di Roma, e loro sono corsi subito a prendermi. Devo ammettere che rivedere la mia storia messa in scena è stato un po’ strano: è una vicenda che dentro di me sto ancora rielaborando, sono state sensazioni molto potenti, specialmente perché ho avuto la fortuna di avere due attori del calibro di Donatella Finocchiaro e Filippo Nigro, che hanno recitato in modo accurato e perfetto le scene che avevo scritto. A volte mi è sembrato di rivivere la mia infanzia.

VELVET: Nella versione internazionale il film si chiama “Girl in flight”: flight in inglese significa “fuga” ma anche “volo”. Ci spiega il significato di questo titolo?
VANNUCCHI: Volevo dare un senso di speranza: nella scena finale Silvia, sui pattini, percorre una discesa ed è come se stesse volando, il suo è un volo simbolico. Il suo atto di ribellione (per quanto discutibile possa essere) in qualche modo ha fatto da catalizzatore dentro la famiglia, ha smosso qualcosa nel suo nucleo familiare ma anche dentro di lei: il suo spirito si è ripristinato, il viaggio che ha fatto le è stato utile, è come se avesse spiccato il volo e da giovane ragazza ha lasciato la famiglia ed è cresciuta, ha imparato a essere indipendente.

VELVET: Il suo è un film che parla molto di differenze e contrasti: la malattia contro la sanità mentale, la voglia di vivere contro la voglia di morire, la comunità rom contro quella italiana. E’ qualcosa che voleva sin dall’inizio o si è creato durante le riprese?
VANNUCCHI: Entrambe le cose. Da una parte anche Silvia rappresenta il diverso, fa parte di una famiglia che a causa della malattia non è come quella dei suoi amichetti: anche Emina però incarna il diverso perché fa parte di una comunità che è emarginata. Quando ho iniziato a chiedermi chi potesse incontrare Silvia sul treno, mi è capitato di imbattermi in un gruppo di ragazzine rom, proprio su un vagone. Ho sempre avuto interesse verso questa comunità, ho letto molti libri, mi sono documentata: questo incontro casuale, mi ha fatto capire che era proprio quello che volevo anche per il mio film. Poi ho lavorato molto per costruire bene le personalità delle due ragazzine, per far capire bene cosa attraesse l’una verso l’altra, nelle loro diversità.

Dal 7 marzo al cinema “La fuga”, con Donatella Finocchiaro e Filippo Nigro

VELVET: Nella sua lunga carriera non aveva mai affrontato un personaggio afflitto da depressione. E’ stato difficile entrare dentro questo tipo di personaggio?
FINOCCHIARO: Sì, una vera sfida, è stato un bel viaggio dentro i meandri di una patologia da curarsi con gli psicofarmaci: il mio personaggio è affetto da una depressione invalidante, di quelle che non ti fanno alzare dal letto. È stato un percorso difficile, dentro un inferno: Sandra Vannucchi, la regista, mi ha aiutato molto perché questo è un po’ il suo viaggio. Abbiamo discusso molto del ruolo prima del film, e abbiamo fatto tante prove sul set.

VELVET: Che tipo di responsabilità si sente a portare davanti alla cinepresa un ruolo così difficile e delicato?
FINOCCHIARO: Ovviamente il nostro compito di attori è di raccontare una verità, o almeno provare a essere il più verosimili possibile. A incarnare un personaggio così si sente una grossa responsabilità, soprattutto se si pensa a tutte le persone che potrebbero rivedersi nel mio ruolo, a tutti coloro che hanno avuto o soffrono di questo disturbo. Raggiungere questo livello di assenza nello sguardo, nel corpo e nella voce è stato sicuramente faticoso, perché essere sotto psicofarmaci annebbia la vista, cambia la voce e la lucidità dello sguardo. Mi sono informata, ho studiato tanto, e ho cercato di raggiungere una possibile verità.

VELVET: Da Mario Martone a Francesca Archibugi, da Emanuele Crialese a Giovanni Veronesi. Lei ha lavorato con grandi registi, di fama ed esperienza. Cosa l’ha colpita di Sandra Vannucchi, che esordisce alla regia proprio con “La fuga”?
FINOCCHIARO: Mi ha colpito molto la sua calma, è una donna molto tranquilla, anche se solo all’apparenza. Sandra è una persona molto rapida, di grande intelletto e cultura, ha le idee molto chiare. Devo dire che mi è capitato di girare con diverse registe donne, ed è sempre un piacere: statisticamente i registi sono più uomini, ma ogni tanto affrontare personaggi femminili importanti, avendo la possibilità di confrontarsi con la sensibilità di una donna, è molto interessante. E poi a me piace molto lavorare con registi agli esordi, per me è una sorta di dovere. E’ facile lavorare con grandi cineasti come Garrone, Martone, Archibugi e fare un bel film: è più difficile dare la possibilità a registi esordienti di fare il loro primo film, è più rischioso ma io sono felice e orgogliosa di farlo.

VELVET: A cosa sta lavorando ora?
FINOCCHIARO: Fra un paio di settimane inizio a girare il nuovo film di Emma Dante sulle sorelle Macaluso (io interpreto una delle due), un film tutto girato in Sicilia, a Palermo. Poi farò il nuovo film di Aurelio Grimaldi sul delitto di Piersanti Mattarella, dove io interpreto proprio la moglie di Mattarella. Sono molto felice di questi ruoli!

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