Il discorso politico (con tanto di invito alla riflessione sul voto del 2020) di Spike Lee. Le lacrime di gioia di Lady Gaga. L’ennesima mancata vittoria di Glenn Close (alla sua settima candidatura) come attrice protagonista. Il trionfo del Messico (e di Netflix). La celebrazione dei Queen, ospiti di apertura della serata e protagonisti del film che ha portato a casa più statuette. Sono alcune delle immagini che più ci rimarranno in mente di questa 91esima edizione della Notte degli Oscar, uno show per nulla spettacolare (anzi, piuttosto noioso), con poco ritmo e troppe polemiche; insomma, una trasmissione da rivedere e riformare, come confermano i dati di ascolto in calo vertiginoso negli ultimi anni, che quasi certamente verranno confermati anche per questa edizione.
Alla fine ha vinto “Green Book”, non certo il favorito della serata (il più papabile sembrava essere “Roma”, fino all’escalation nelle preferenze degli ultimi giorni di “Black Panther”) ma capace di trasformare le cinque candidature in tre premi, nelle categorie Miglior film, Miglior sceneggiatura originale e Miglior attore non protagonista (il bravissimo Mahershala Ali, già vincitore nella stessa categoria nel 2017 per “Moonlight”). Ha vinto una storia che parla dell’amicizia che va aldilà delle differenze, che riflette sui sentimenti che vanno oltre i pregiudizi, che riporta sulla scena le questioni razziali dell’America degli anni Sessanta, che parla di inclusione e diversità. Meritati tutti i premi, e un po’ di rammarico per la mancata vittoria di Viggo Mortensen nella categoria miglior attore protagonista: notevolissimo il lavoro svolto dal sessantenne interprete newyorkese di origine danese (credibilissimo e intenso nei panni di Tony Lip, buttafuori italoamericano che diventa autista e guardia del corpo del pianista afroamericano Don Shirley) sull’accento italoamericano e sul modo di parlare (sempliciotto e in contrasto con l’inglese forbito e colto del suo cliente). Un po’ commedia e un po’ dramma (nel film si ride, ci si emoziona e ci si commuove), il buddy movie ha convinto i membri dell’Academy che alla fine lo hanno premiato contro i pronostici della vigilia, facendo trionfare in qualche modo anche il suo regista, quel Peter Farrelly che insieme al fratello Robert in passato ha diretto tante commedie sbanca botteghini.
“Green Book” vince tre premi Oscar e trionfa nella categoria Miglior film
Sotto le aspettative i premi ottenuti dal film di Alfonso Cuaron “Roma” (Leone d’Oro alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia): le dieci candidature guadagnate si sono trasformate in tre Oscar: Miglior regista, Miglior film in lingua straniera e Miglior Fotografia (per la quale è stato premiato sempre Cuaron). La mancata vittoria nella categoria Miglior film forse non sorprende così tanto: far vincere un film art house, con attori mixtechi, in bianco e nero, e soprattutto prodotto da Netflix, avrebbe sollevato un putiferio nella Hollywood ancora conservatrice e dominata dal potere degli Studios. Troppi interessi economici sarebbero stati scardinati, Hollywood forse non è pronta per questo. Importante però il fatto che abbia fatto tanto parlare di sé una pellicola che, come ha sottolineato nel suo discorso di ringraziamento Cuaron, ha “riconosciuto una donna indigena, e un personaggio (la donna di servizio) che è sempre stato relegato al fondo del cinema: come artisti, il nostro lavoro è guardare dove gli altri distolgono gli occhi, e questa responsabilità è ancora più importante in un’epoca in cui veniamo incoraggiati a guardare altrove”. Una storia di donne forti e sole e uomini assenti, che trae ispirazione dall’infanzia del regista, cresciuto nel quartiere borghese di Città del Messico con la tata Liboria e la famiglia.
“Roma” di Alfonso Cuaron conquista tre Oscar: Miglior regista, Miglior fotografia e Miglior film in lingua straniera
Bottino quasi pieno per “Bohemian Rhapsody”, che su cinque nomination porta a casa ben quattro Oscar: Miglior attore protagonista (il bravissimo Rami Malek), Miglior montaggio, Miglior montaggio sonoro e mixing sonoro. A trionfare è stato soprattutto un film di tipo commerciale (il più grande incasso dell’anno in Italia, ancora in alcune sale nonostante l’uscita del 29 novembre), di impostazione classica (tipico biopic) ma di grande impatto emozionale. Un film dalla gestazione difficilissima (regista cambiato durante le riprese, idem per il protagonista) che ha permesso alle nuovissime generazioni di conoscere la musica dei Queen, presenti come momento musicale di apertura della serata con le canzoni “We Will Rock You” e “We Are The Champions”.
Quattro Oscar per “Bohemian Rhapsody”, tra cui quello a Rami Malek, Miglior attore protagonista
A proposito di film commerciali… E’ già entrato nella storia “Black Panther”, primo cinecomic della Marvel a essere candidato nella categoria Miglior Film, capace di portarsi a casa sei candidature e tre statuette (Migliori Costumi, Migliori Scenografie e Miglior colonna sonora). Premi tecnici, si dirà, ma il film (1,3 miliardi di dollari di incasso nel mondo, il più alto incasso degli Stati Uniti nel 2018 con 700 milioni di dollari guadagnati) ha portato sulla scena tematiche importanti come l’affermazione femminile e il black power, dal cast alla troupe: significativa la vittoria della costumista Ruth Carter, prima afroamericana a vincere in questa categoria, che nel suo discorso di ringraziamento ha anche affermato: “Il film ha mostrato come le donne possano davvero comandare il mondo”.
“Black Panther” fa storia, con la vittoria di tre premi Oscar
Delusione totale per “La favorita”, il film del greco Yorgos Lanthimos arrivato alla notte degli Oscar con ben 10 candidature. Ebbene, la pellicola alla fine si è portata a casa soltanto la statuetta per la Miglior attrice protagonista, quella Olivia Colman (perfetta nei panni della Regina Anna) che ha decretato l’ennesima sconfitta della super favorita Glenn Close (in gara per la settima volta, stavolta con il film “The Wife”). Forse l’eccesso di perversione e morbosità del dramma (ambientato alla corte inglese del 1700) hanno colpito negativamente i membri dell’Academy, tendenzialmente conservatori e di età avanzata.
Delusione per “La favorita”: solo un Oscar a Olivia Colman come Miglior attrice protagonista
Magro il bottino anche di “A Star is Born”: le sette candidature si sono trasformate in un’unica statuetta, quella per la miglior canzone “Shallow”, riproposta dal vivo da Bradley Cooper e Lady Gaga in uno dei pochi momenti emozionanti e attesi della serata. Una vittoria annunciata e prevista, anche perché il brano aveva già vinto Golden Globe, Critics Choice Award e Grammy Award. Commossa e felice Lady Gaga, che nel suo discorso di ringraziamento ha sottolineato come volontà e sacrificio alla fine premino sempre. “A chi è a casa e guarda dal divano voglio dire una sola cosa: dietro a tutto questo c’è un sacco di lavoro, tanti sacrifici, tantissime ore di dedizione e impegno” ha detto tra le lacrime Lady Germanotta. “Non si tratta solo di vincere, quello che conta è non arrendersi mai, se avete un sogno combattete per raggiungerlo e realizzarlo, quando vi sentite abbattuti, sconfitti, lasciati fuori dalla porta, ciò che conta è tener duro e andare avanti!”
“A Star is Born”, premiata soltanto la Miglior canzone “Shallow”
Altri premiati di lusso sono stati Regina King, Miglior attrice non protagonista per “Se la strada potesse parlare”, e “Spiderman: un nuovo universo”, Miglior film d’animazione (che ha lasciato la Pixar a bocca asciutta!)
Importante vittoria per “Blakkklansman” nella categoria Miglior sceneggiatura non originale (premio vinto anche allo scorso Festival di Cannes e ai Bafta). Al regista Spike Lee (che concorreva per la prima volta anche nella categoria Miglior regia) il premio (virtuale) per il discorso di ringraziamento più politico della serata, incentrato sull’affermazione afroamericana e sull’importanza delle votazioni del 2020. “Il 24 febbraio è una data storica, è anche nel mese più corto dell’anno, il mese della storia nera. Rendo omaggio a tutti i nostri antenati per averci portati sino ad oggi, senza di loro non avremmo l’umanità che abbiamo oggi. Le elezioni del 2020 sono dietro l’angolo, possiamo stare alla parte giusta della storia. Facciamo la cosa giusta, sapere cosa fare!”
“Blakkklansman” di Spike Lee vince l’Oscar per la Miglior sceneggiatura non originale
Insomma, black power, tematiche razziali, inclusione e diversità sono stati i temi di un’edizione quanto mai anti-trumpiana e soprattutto da rivedere, nei ritmi e nel format. Chissà cosa saprà inventarsi per il 2020 l’Academy, che avrà anche un nuovo presidente(dopo tutte le polemiche di quest’anno John Bailey sarà detronizzato a luglio). L’appuntamento è per il 9 febbraio prossimo!
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