“Per quale film faccio il tifo alla Notte degli Oscar? Sicuramente “La Favorita”, in questo periodo sto in fissa con Yorgos Lanthimos”. Ha le idee chiare su chi dovrebbe vincere all’imminente cerimonia degli Academy Awards, Antonio Orlando, giovane promessa del cinema italiano. Lo incontriamo in un bar di Trastevere, e questo ventisettenne siciliano, trasferitosi a Roma da bambino, ci appare subito deciso e determinato, e non solo sui pronostici per gli Oscar. Un metro e ottantacinque di altezza, fisico asciutto, occhi scuri e intensi, sguardo sicuro ed energico, Antonio è un uomo che da subito trasmette grinta ed entusiasmo per il mestiere dell’attore, per il quale, con modestia e grande volontà, studia e lavora da quando era bambino. Classe 1991, palermitano di nascita, diplomato presso l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico di Roma nel 2015, Antonio ci esprime la sua soddisfazione per il suo lavoro più recente nel film di Matteo Rovere “Il primo re”, tuttora nelle sale di tutta Italia.
AO: E’ stata la mia prima esperienza cinematografica, e di certo un debutto migliore non mi poteva capitare! Non succede di frequente di poter partecipare a un film in costume, con effetti speciali da grande blockbuster americano, di quelli che sono solito vedere nei contenuti extra dei DVD dei miei film preferiti! È stata dura, perché il regista Matteo Rovere è anche il produttore, e quindi era liberissimo di fare il cast che voleva: in effetti a parte Alessandro Borghi e Fabrizio Rongione (che forse è più noto all’estero che in Italia) tutto il resto del cast non aveva la stessa popolarità di Alessandro e dei protagonisti principali. Per quanto riguarda la mia parte, ci sono voluti circa due mesi per sapere se ero nel film o meno. Ho fatto quattro provini per tre ruoli diversi. Matteo doveva comporre il gruppo dei dodici schiavi che risalgono il Tevere insieme a Romolo e Remo, quindi ha provinato tutti gli aspiranti attori sullo stesso stralcio (costituito da due scene). Io sono stato esaminato per tre diversi personaggi per queste due scene, e poi sono stato preso per un altro ruolo ancora.
Il mio personaggio si chiama Erenneis, ed è l’unico del gruppo a conoscerne un altro membro. È un ruolo che ho costruito partendo dal trucco; dallo script avevo delle linee guida, ma per me è stata determinante la prima prova. A differenza degli altri personaggi, il mio è ferito già dall’inizio, porta tre grosse cicatrici sul viso. Ho pensato che Erenneis sarebbe potuto morire in ogni scena, quindi l’ho costruito partendo proprio da questa sensazione. Con il regista ci siamo sentiti e abbiamo parlato molto spesso anche durante le riprese, per renderlo il più tridimensionale possibile. Credo che la resa sia abbastanza convincente.
Antonio Orlando e il debutto sul grande schermo nel film di Matteo Rovere “Il primo re”
VELVET: Che effetto ti ha fatto vederti sul grande schermo?
AO: Sono sempre molto critico con me stesso. Credo che oggi avrei interpretato Erenneis in modo diverso, trovo sempre dei difetti su di me. Devo dire che è stato di grande ispirazione lavorare con colleghi molto bravi e che stimo tanto. Sono cresciuto guardando gli spettacoli di Vincenzo Pirrotta (che nel film interpreta Cai il Sabino, ndr), vedendo i film che Fabrizio Rongione ha girato con i fratelli Dardenne, ammirando Max Malatesta, quindi è stato un grande onore lavorare con questi grandi attori. Credo di essere cresciuto anche solo guardandoli provare e recitare, è stata un’esperienza molto bella e formativa. Sono grato di averla fatta e contento di come è andata, per il futuro voglio fare ancora meglio.
VELVET: Sei un amante dei film d’autore o preferisci le grandi e costose produzioni americane?
AO: Sono giovane e ho voglia di lavorare, quindi al momento sarei felice di lavorare in entrambi i generi. Posso dirti che i miei film preferiti sono “Rocco e i suoi fratelli” di Luchino Visconti e “Il Signore degli anelli” di Peter Jackson. Credo che il punto di forza de “Il primo re” risieda proprio nel fatto che si colloca a metà tra questi due poli, nel senso che possiede il lato autoriale (grazie alla fotografia di Daniele Ciprì, alla lingua che ti trasporta in una dimensione inesistente visto che il protolatino è un linguaggio ipotetico) ma anche le caratteristiche tipiche di una grossa produzione d’oltreoceano (l’utilizzo massiccio degli effetti speciali e la grande post produzione che è stata fatta).
VELVET: Nel tuo curriculum puoi vantare anche la partecipazione a una serie tv di grande successo quale “La mafia uccide solo d’estate”. Essere palermitano ti ha aiutato per questo ruolo?
AO: Sì, sono nato a Palermo ma sono cresciuto a Roma, ho fatto tutte le scuole qui; mi trovo nella posizione in cui a Roma sono ‘il palermitano’, e a Palermo sono ‘il romano’! Sono molto legato all’esperienza di “La mafia uccide solo d’estate”: il mio ruolo era piccolo ma molto sfizioso, interpretavo Massimo Ciancimino, un personaggio piuttosto scomodo. È stato bello perché è stato il primo lavoro che ho fatto a Palermo, città alla quale sono molto legato, dove ho ancora tantissimi amici conosciuti da piccolo, e ho mio nonno cui sono molto affezionato. Pensa che parlo abbastanza bene anche il dialetto!
Antonio Orlando: “Recitare in ‘La mafia uccide solo d’estate’? Bellissimo per me che sono nato a Palermo”
VELVET: Quando è scattata in te la scintilla della recitazione? Quando hai capito che da grande volevi fare l’attore?
AO: Ho sempre guardato molto cinema, e poi devo ringraziare tantissimo la mia famiglia che sin da piccolo mi ha portato a teatro e mi ha dato l’avvio, mi ha indirizzato verso questa strada senza alcuna forzatura o pressione. Ho iniziato a fare teatro alle Scuole Medie, frequentando il corso di recitazione pomeridiano; al Liceo ho fatto parte di un’associazione culturale e dopo le Superiori ho provato subito ad entrare al Piccolo di Milano: all’epoca ero fissato con Ronconi, e volevo andar via di casa. Purtroppo non andò bene, e per questo mi sono iscritto all’Università ma parallelamente ho iniziato a seguire una scuola di cinema; poi ho provato a entrare all’Accademia Silvia d’amico, e sono stato preso al primo tentativo. Sono una persona caratterialmente molto accomodante, mi reputo un perfetto interlocutore, non sono uno che giudica. Sin da piccolo mi sono sempre messo nei panni degli altri, ho sempre cercato di fare il mediatore, sono sin troppo diplomatico (al punto che a volte rischi di perdere il tuo punto di vista). Il mio approccio ai personaggi, tendo a confondermi con il personaggio che interpreto, perlomeno questa è la mia ambizione. Nessuno mi riconosce quando interpreto certi ruoli perché, a parte il look che non sempre dipende da me, cerco di togliere quanto più possibile di me stesso. Negli anni poi sono molto cambiato, sono ancora molto giovane e in fase di crescita: all’inizio cercavo di inventarmi anche un modo particolare di camminare, di parlare. Poi in Accademia ho lavorato con Massimiliano Civita (un bravissimo regista, insegnante e pedagogo) che mi ha fatto render conto che la mia fisicità è già parlante ed esplicativa. Per questo a volte, specialmente nel cinema (dove la telecamera è più vicina al viso rispetto al teatro, in cui hai sempre un totale), un’immagine parla più un’interpretazione.
Antonio Orlando, tanta gavetta in teatro e ora i primi lavori in tv e al cinema
VELVET: Qual è il tuo attore di riferimento? C’è un interprete, vivente o meno, che ti colpisce sempre per le sue interpretazioni?
AO: Da piccolo ero innamorato di Paul Newman. Tra gli attori contemporanei devo dire che mi piace molto Joaquin Phoenix. È un interprete che, attraverso i suoi personaggi, racconta sempre grandi contraddizioni, non ha mai ruoli lineari; anche quando gli vengono assegnati personaggi scritti in modo chiaro e semplice, riesce a mettere dentro sentimenti completamente divergenti, come violenza e tenerezza allo stesso tempo (lo ha fatto ad esempio in “A Beautiful Day” di Lynn Ramsay). Credo che sia una persona molto complessa, come dimostra anche “Io sono qui”, il documentario che ha interpretato per la regia di Casey Affleck. Lo trovo assolutamente magnetico, le sue interpretazioni sono sempre una sorta di sfida anche per il pubblico, perché i suoi ruoli a una prima occhiata sembrano in un modo, e poi si rivelano del tutto diversi. Riesce a tenere lo spettatore sempre molto attivo.
VELVET: Potendo scegliere un attore italiano con cui lavorare, in un ipotetico film con due protagonisti (uno dei quali ovviamente sei tu), chi sceglieresti? E perché?
AO: Devo dire che fino adesso sono già stato molto fortunato, poiché ho lavorato con Alessandro Borghi ne “Il primo re” e con Pierfrancesco Favino ne “Il traditore” (il film di prossima uscia diretto da Marco Bellocchio in cui Favino interpreta Tommaso Buscetta, ndr),dove avevo un piccolo ruolo, ma giravo sempre con lui. Potendo scegliere un attore italiano, credo che opterei per Luca Marinelli, che ha fato un film che la nostra generazione di attori è stato di grande speranza e trasporto quale “Non essere cattivo”. E’ un interprete che cambia tantissimo da ruolo a ruolo, non è troppo affezionato a se stesso, si mette molto a disposizione della parte. Non lo conosco di persona ma mi sembra abbia un carattere simile al mio, non è uno che fa vita mondana, non sta sui social, proprio come me.
Antonio Orlando: “Sogno di fare un film accanto a Luca Marinelli”
VELVET: Davvero? Non hai Facebook né Instagram? E’ abbastanza singolare per un ragazzo della tua età.
AO: Non sto sui social perchè non sono il tipo: mi rendo conto che si tratta di comunicazione e non di autocelebrazione, ma di questi tempi il confine tra questi due aspetti è molto labile. In più, anche se per adesso il problema non si pone, non voglio confondere la mia vita personale con quella professionale, e credo che queste piattaforme un po’ cerchino di rendere pubblico il tuo privato. Faccio questo mestiere non per mettere davanti la mia persona, ma per confondermi con un’altra. E poi non credo che il mio privato possa essere così interessante! Sono molto appagato della mia vita personale, che è molto piena e soddisfacente. Tra l’altro faccio parte di un gruppo di amici in cui nessuno sta sui social!
VELVET: Torniamo a parlare di cinema. Mi citi i nomi di due registi, uno italiano e uno straniero, con cui ti piacerebbe lavorare?
AO: Tra gli italiani Matteo Garrone, perché in ogni film sa essere un regista diverso, ha una sua cifra ma è sempre pronto a cambiare tutto a seconda del lavoro. Mi piace il suo modo di raccontare le storie sempre a cavallo tra realismo e favola, aspetti che troviamo in quasi tutti i suoi film (da “Reality” a “Dogman”, a “L’imbalsamatore”). Anche “Vacanze romane”, che dovrebbe essere un film realistico, è invece comunque immerso in un un alone di favola.
Tra i registi stranieri? Bella domanda… Ora sono in fissa con Yorgos Lanthimos, che trovo molto teatrale; tanti dei suoi film attingono dalle tragedie greche, e posseggono una freddezza delle immagini completamente estraniante. Questo aspetto si vedeva bene in “The Lobster”, e poi ritorna anche ne “Il sacrificio del cervo sacro”. Mi piace molto anche il modo in cui Lanthimos costruisce i personaggi, la sua cura del dettaglio e dei particolari fisici, è un regista molto attento alle piccole sfumature della narrazione, non solo delle immagini. E poi è anche lui a metà tra quel cinema autoriale e quello spettacolare che mi piacciono tanto.
VELVET: SI parla speso di crisi del cinema italiano. Tu cosa ne pensi? Qual è lo stato di salute del cinema di casa nostra?
AO: Credo che stiamo vivendo un momento di svolta, di rinascita. Credo sia un periodo molto fertile per il cinema, c’è aria di grande cambiamento. Film come “Il primo re”, “Lo chiamavano Jeeg Robot”, “Non essere cattivo”, lo stesso “Dogman” lo dimostrano. Si stanno gettando le basi per il nuovo cinema che si verrà a creare, è giusto che i registi oggi si chiedano cosa possono raccontare che non sia già stato raccontato, anche noi attori ci poniamo questa stessa domanda. E’ difficile raccontare gli anni del 21esimo secolo, sono anni strani per tutti, ma sono sicuro che pian piano si tornerà a un cinema di alto livello, come quello che l’Italia ha sempre prodotto.
VELVET: Ti ricordi qual è stato il primo film che hai visto in sala e che ti ha colpito?
AO: Il primo film che ricordo, e che mi ha traumatizzato, è stato “Mars Attacks!” di Tim Burton; avevo 5 anni, ci andai con mia madre. Dopo la visione di quel film non ho dormito per notti intere, vedevo sempre un alieno che spuntava dalla finestra e mi faceva paura!
VELVET: E invece, qual è il film che non vedi l’ora di vedere?
AO: Sicuramente il nuovo film di Lars Von trier “The house that Jack Built”. Devo dire che non ho visto tutti i film diretti da Von Trier, e non tutto quello che ho visto mi fa impazzire, ma il protagonista di questo nuovo film è Matt Dillon, che considero un altro grandissimo attore. Ho visto il trailer al cinema alcuni mesi fa, e mi ha incuriosito moltissimo, non vedo l’ora di andare al cinema a vederlo!
VELVET: A cosa stai lavorando in questo momento?
AO: A marzo sono impegnato con la fine della tournée teatrale dello spettacolo di Pierpaolo Sepe dal titolo “Miss Marple”, con Maria Amelia Monti. Dopo questo impegno sarò a Genova, per uno spettacolo al Teatro della Tosse, e poi girerò due cortometraggi. Per ora mi sto dedicando di più al teatro,
VELVET: Il mondo del cinema, del teatro, della televisione, è duro e difficile. Hai mai ripensamenti?
AO: No no, sono deciso e sicuro al 100%. Non nascondo che ho avuto momenti di sconforto, perchè è un lavoro dove devi capire presto che il rifiuto c’è e arriva. Anche se inizi ad avere successi, ad ottenere parti di frequente, c’è un continuo confronto con il rifiuto, che a volte dipende da te a volte no. E’ un lavoro che dipende molto da come stai, da come ti senti in quel momento, quando vai a fare un provino devi cogliere l’attimo. Poi accade che ci sono periodi in cui non hai niente da fare, e altri in cui magari all’improvviso ti escono quattro proposte tutte insieme e non riesci a farne neanche mezza. Ad esempio un anno e mezzo fa, mentre lavoravo a uno spettacolo di Pierpaolo Sepe, mi sono rotto un piede e cinque giorni dopo dovevo andare a Milano a girare “1993”; ovviamente non ho potuto lavorare perchè avevo le stampelle. Ho provato anche a chiamare il regista (con cui avevo girato “Non uccidere”), ho provato anche a mentire dicendo che avevo una stampella, ma non è stato possibile girare. Mi è dispiaciuto molto.
VELVET: Ma insomma, alla fine chi vince gli Oscar?
AO: Tifo per “La Favorita” come miglior film, e per “Cold War” nella categoria miglior film in lingua straniera. Un film che mi ha fatto impazzire quest’anno è “Un affare di famiglia”, diretto da Kore’eda Hirokazu: trovo che gli attori siano tutti straordinari, ha una sceneggiatura solida e ben scritta, è un’opera perfetta.
Chissà se su “La favorita” e “Cold War” Antonio ha ragione. Lunedì scopriremo se questo ragazzo, oltre che talento, entusiasmo e grinta, ha anche un buon istinto!