“Una cinematografia che non scommette, è una cinematografia che muore”. Parola di Francesca Manieri, una delle sceneggiatrici de IL PRIMO RE, il nuovo, potente e coraggioso film di Matteo Rovere, che di scommesse ne lancia tante con questo lavoro, in sala dal 31 dicembre in 300 copie. Una pellicola che lancia scommesse, si diceva, e che di sfide ne raccoglie tante; un film che sorprende, colpisce, intrattiene, scuote, un’opera che non può lasciare indifferenti, e che ti fa uscire dalla sala con gli occhi pieni di fuoco e fango, di carne e sangue, di guerra e storia.
La vicenda narrata è quella della fondazione di Roma nel lontano 753 avanti Cristo, è il mito di Romolo e Remo (interpretati da Alessio Lapice e Alessandro Borghi), fratelli pastori legati da un amore profondo ma intriso, in età adulta, di una violenza che sgorga da due visioni ben diverse della divinità e del mondo. Una storia che il trentasettenne romano Matteo Rovere (già regista di “Un gioco da ragazze”, “Gli sfiorati” e “Veloce come il vento”) ha deciso di raccontare usando ambientazioni esclusivamente all’esterno (il film è strato girato nei boschi dei Monti Simbruini, Monti Lucretili, il Monte Cavo con la sua via sacra, il Monte Ceraso nel parco di Veio), spettacolari sequenze di lotta, grande azione, una fotografia che si avvale solo di luce naturale (straordinario il lavoro di Daniele Ciprì) e una lingua arcaica come il protolatino.
Matteo Rovere presente “Il primo re”, il suo nuovo film sulla storia della fondazione di Roma
“L’idea di girare il film in questo modo è nata insieme ad Andrea Paris che ha prodotto con me il film” ha dichiarato in conferenza stampa Matteo Rovere, regista, co-sceneggiatore (insieme a Filippo Gravino e Francesca Manieri) e co-produttore, appunto. “La nostra volontà era di cercare una storia che avesse un sedimento nella nostra cultura e nel nostro passato, ma che allo stesso tempo fornisse l’occasione per fare questo tipo di narrazione fortemente cinematografica, con tante chiavi di lettura ma con elementi action, spettacolari, che spesso in Italia non vengono usati, ma che la nostra cinematografia in passato ha fatto spesso, nelle maniere più diverse. Questo film usa il genere per fare un racconto complesso, sentimentale ma senza perdere la chiave del suo essere un film italiano, realizzato con capitali mondiali, ma girato in Italia, da maestranze italiane, con costruzione produttiva fatta dal nostro paese. Il mio auspicio è che questo film possa essere elemento di un percorso di rinnovamento per la nostra cinematografia, perché credo esista anche un pubblico che ha voglia di vedere storie diverse”.
IL PRIMO RE è un vero e proprio kolossal, coinvolgente e appassionante sin dalla spettacolare scena di apertura, che proietta lo spettatore dentro l’esondazione del Tevere, una valanga d’acqua e fango che travolge Romolo e Remo insieme a tutti gli elementi naturali e animali che incontra. Massiccia la post-produzione del film, durata circa quattordici mesi, come similmente accaduto anche nel precedente lavoro di Rovere “Veloce come il vento”. E massiccio anche l’investimento economico necessario per la realizzazione del film, oltre nove milioni di euro, recuperati anche grazie a finanziamenti stranieri per un prodotto che si prevede verrà facilmente venduto all’estero, e che (a detta del regista) è stato pensato per la sala, rifiutando varie proposte di distribuzione esclusivamente in streaming.
“Il primo re”, un film tutto italiano realizzato con uno sforzo produttivo internazionale
Non solo una storia di guerra e di sopravvivenza, della fondazione di una città e di un impero, ma soprattutto la vicenda umana di due fratelli, legatissimi ma quotidianamente in lotta per la vita, fino a trovarsi l’uno contro l’altro, separati da due diverse visioni dell’accettazione del destino. “La cosa che mi ha interessato di più sin dall’inizio, è proprio il rapporto di fratellanza tra i protagonisti” ha precisato Rovere. “Sono sempre stato un autore che cerca il rapporto primario negli esseri umani. I nostri riferimenti, malgrado tutto l’immaginario che vedete nel film, sono insospettabili. In fase di sceneggiatura abbiamo parlato moltissimo di ROCCO E I SUOI FRATELLI (il film di Luchino Visconti del 1960, ndr), come stimolo primario del rapporto tra i fratelli: Rocco è il Romolo del nostro film, mentre Simone è Remo. In queste storie, come anche in TORO SCATENATO (il film di Martin Scorsese del 1980), c’è un rapporto tra una coppia di fratelli in cui di solito uno dei due subisce un processo degenerativo. In queste storie di norma tale processo degenerativo nasce da un demone interiore, da qualcosa che logora internamente uno dei protagonisti. Nel nostro caso abbiamo avuto la straordinaria occasione e privilegio di poter pensare che il demone fuori fosse Dio.”
Notevolissimo il lavoro di ricostruzione storica sia degli eventi legati alla costituzione di Roma, sia delle ambientazioni, degli equipaggiamenti bellici, dei manufatti e delle atmosfere. Impressionante la ricerca fatta sulla lingua usata da tutti gli attori, un latino arcaico ricostruito attraverso fonti contemporanee al periodo storico in cui si immagina che Romolo e Remo siano vissuti. Fondamentale l’apporto dei semiologi dell’Università La Sapienza di Roma, che hanno consegnato al film un idioma che dona ancor più credibilità e lustro alla pellicola. Un copione che i protagonisti hanno dovuto imparare a memoria, con non poche difficoltà.
“Quando Matteo mi disse che avrei dovuto recitare in protolatino, confesso di essermi spaventato” scherza Alessandro Borghi, che interpreta Remo, vero protagonista de IL PRIMO RE nonostante il titolo. “Ho iniziato a relazionarmi con la sceneggiatura, e dopo poco ho capito che questa lingua poteva agire dentro di me se la ascoltavo più che se la studiavo. Per questo Matteo mi ha fatto fare le registrazioni audio di tutte le battute del film, che io mi ascoltavo con diligenza in cuffia la sera prima di andare a dormire, nelle situazioni più disparate, a volte anche nel sonno, e devo dire che la tecnica ha funzionato. Ho assimilato la lingua in modo abbastanza facile! Ricordo che a un certo punto, mentre facevamo le prove tutti insieme, tra spade e combattimenti, dentro un capannone bellissimo, Matteo arrivò e mi disse “Domani vorrei provare il monologo”. Mi sono spaventato, non avevo memorizzato quella parte e nella mia testa sarei stato pronto solo dopo lunghissimo tempo. Sono tornato a casa terrorizzato dall’idea di fare una figuraccia, ma in realtà il giorno dopo sono arrivato sul set e quel monologo lo sapevo, nel senso che era dentro di me, avevo delle cose ben precise da dire! Questo perché avevo ascoltato ripetutamente quelle battute, quella lingua. Ho capito che quella era la strada giusta e mi sono fatto tutto il periodo della Mostra del Cinema di Venezia (quando ero il padrino, nel 2017) correndo sulla spiaggia dell’Excelsior con le battute in latino nelle cuffie! Ripensandoci, dopo tutto il lavoro attentissimo che abbiamo fatto con Alessio e Matteo, mi rendo conto che quella lingua è assolutamente fondamentale per la riuscita del film, ora non riesco a immaginarlo recitato in un’altra lingua”.
Alessandro Borghi e Alessio Lapice incarnano Remo e Romolo ne “Il primo re”
“A proposito dei monologhi, anch’io ho un aneddoto interessante da raccontare, che dice molto su come è fatto Matteo Rovere” continua Alessio Lapice, che incarna Romolo. “Avevo lavorato molto sul mio monologo finale, che è molto lungo ma bellissimo. Avevo studiato tanto, e a un certo punto Matteo venne da me e mi disse: “Alessio, abbiamo fatto delle modifiche al monologo finale”. Pensavo avessero cambiato qualche piccola cosa, dei dettagli, ma subito aggiunse: “Lo abbiamo riscritto tutto, lo rifacciamo da capo!” Questo accadeva il lunedì, e la scena del monologo era sei giorni dopo. La cosa che mi spiazzò di Matteo, era che era assolutamente tranquillo su tutto, non era affatto preoccupato. Io stavo un po’ in ansia, poi però vedevo lui e pensavo “Se è sereno lui che ha tutto il peso del film sulle sue spalle, perché mi devo preoccupare io?” Questo suo essere così rassicurante e preparato su tutto, questo avere tutto ben chiaro in mente e farci stare tranquilli su quello che dovevamo fare, è stato di grandissimo aiuto, sia per me che per Alessandro. Matteo è sempre stato solido e sereno, perché è un uomo che sa tutto, è preparatissimo su ogni aspetto.”
Il copione del film è stato scritto in italiano, per poi essere tradotto in protolatino, ma anche in fase di sceneggiatura e di delineazione dei personaggi, gli sceneggiatori Rovere, Francesca Manieri e Filippo Gravino hanno fatto dei ragionamenti importanti.
“Il primo ha a che vedere con l’ambientazione del film” precisa Francesca Manieri “Abbiamo ragionato sul fatto che il film è ambientato nell’ottavo secolo prima di Cristo, dove c’erano boschi, fame, stenti, freddo, e gli uomini probabilmente non parlavano molto. Inoltre, per quanto riguarda questo testo, la nostra è una sceneggiatura originale, ma si tratta in realtà di un grande trattamento dai testi di Plutarco, Tito Livio, Strabone. Quando si lavora sull’archetipo, si è nella contemporaneità, ed è come se il tessuto testuale prendesse una forza che difficilmente si ha altrimenti. Abbiamo quindi fatto un lavoro sulla parola che si basa sui silenzi, sulla comunicazione non verbale e su una densità dei contenuti che non fosse associata alla densità della battuta. Volevamo scarnificare il linguaggio ma far passare contenuti enormi come il rapporto tra uomo e natura, e quello tra uomo e Dio”.
Luce naturale, scene di combattimento, natura selvaggia e latino arcaico ne “Il primo re” di Matteo Rovere
Uno dei protagonisti de IL PRIMO RE, è sicuramente la natura, poiché tutte le scene si svolgono in ambienti reali, non ricostruiti, tra boschi, paludi, montagne rocciose, greti di fiumi, zone termali e sulfuree. Ulteriore difficoltà e scommessa in fase produttiva, come conferma il regista.
“Le sfide del girare quasi tutto in esterni (c’è solo una scena in una capanna, che però non è un cover set perché è come trovarsi all’esterno) sono state altissime, il film è stato molto faticoso da girare anche se dal punto di vista meteorologico siamo stati invece molto fortunati perché non ha piovuto praticamente mai. Le difficoltà sono state legate al fatto che è oggettivamente complesso per la nostra industria pensare a un film fatto in questo modo. E’ stato un po’ un imparare giorno per giorno, da parte di tutti i reparti, gli attori, gli stunt, come gestire questo tipo di avversità continua che è la notte, il fango, il freddo, l’acqua, lo sporco, dove la tecnica cinematografica viene messa al servizio di un impianto estetico che deve raccontare la storia allo spettatore. La fatica che si sente neni personaggi è vera, l’elemento materiale che portano i corpi su di loro, è vero. Qui risiede la grande capacità di tutti i truccatori, degli autori nelle varie parti (la fotografia, la scenografia, le acconciature) che sono stati capaci di utilizzare l’esterno e la natura come qualcosa di plastico, come un pennello per la propria pittura. Questo è un film in cui la natura domina, in cui i paesaggi sono reali e la luce è quella del sole”.
I latini dicevano “Audentes Fortuna Iuvat”. Di coraggio Matteo Rovere e la sua produzione ne hanno avuto davvero tanto. E c’è da credere che i risultati non mancheranno.