A Velvet Cinema l’intervista esclusiva di Barbara Chichiarelli, attrice di teatro che sta riscuotendo un grande successo personale nel ruolo di “Livia Adami” in “Suburra”, serie tv italiana prodotta da Netflix prossimamente su Raidue. Attualmente è impegnata nella tournè dello spettacolo “Il libro di Giobbe” e a maggio 2018 sarà al Piccolo Teatro di Milano con “Santa Estasi-Atridi: otto ritratti di famiglia”.
La sua “prima volta” in tv è stata nei panni della cattiva, una donna abituata a destreggiarsi con cinica razionalità tra gli affari poco leciti della famiglia e i rapporti conflittuali dei suoi cari. Nella realtà la trentaduenne Barbara Chichiarelli è un’attrice romana affascinata dalle emozioni intense che si vivono sul palcoscenico: tra i suoi ultimi spettacoli teatrali “Il libro di Giobbe” con la regia di Pietro Babina, attualmente in tournè tra Emilia Romagna e Umbria, e “Santa Estasi-Atridi; otto ritratti di famiglia”, da maggio 2018 al Piccolo di Milano dopo avere vinto il prestigioso premio Ubu, il più importante in Italia per quanto riguarda il teatro. Sul piccolo schermo sta riscuotendo un bel successo personale con la sua interpretazione di Livia Adami in “Suburra”, prima serie tv italiana prodotta da Netflix, in pratica il prequel dell’omonimo film del 2015 diretto da Stefano Sollima che nel 2018 verrà trasmesso anche da Raidue. Barbara Chichiarelli è la sorella di Aureliano Adami, protagonista della storia su “Mafia Capitale” interpretato da Alessandro Borghi. Un’esperienza diversa rispetto a quelle maturate fin ora.
“Sono un’attrice di teatro”, spiega la Chichiarelli, “sono nata in palcoscenico e di questa nobile arte amo il fatto che durante lo spettacolo le emozioni sono “qui e adesso”. Procedono in ordine, mentre in televisione, dove il girato non è sequenziale, devi andare a ritrovare l’intenzione di quella scena girata magari un mese prima. E’ un modo diverso di lavorare, mi incuriosiva e spero di poterlo ripetere. Certo al teatro, e ad alcuni spettacoli in particolare, sono molto affezionata. Tra questi c’è quello che abbiamo ripreso in occasione del Festival di Avignone e che porteremo al Piccolo Teatro di Milano dal 17 al 27 maggio 2018 intitolato “Santa Estasi-Atridi; otto ritratti di famiglia” con la regia di Antonio Latella. E’ una maratona teatrale, suddivisa in otto spettacoli, per renderlo fruibile al grande pubblico. Un’esperienza sicuramente impegnativa a livello emotivo ma, vista la passione, non ne sento la fatica”.
E la tv?
“Richiede un investimento emotivo totalmente diverso. Il teatro è una performance che avviene dal vivo e ogni giorno devi trovare l’energia giusta per stare sul palco. Sei davanti allo spettatore, con cui ti confronti in maniera reale e dinamica. In base all’energia che quel giorno metti nel tuo ruolo puoi decretare il maggior impatto o meno del personaggio sul pubblico”.
Nelle serie televisive invece?
“Non c’è il racconto che parte dall’inizio e ha una sua fine perché le varie riprese sono divise in base a come è meglio realizzarle dal punto di vista organizzativo. Ci sono scene a cui non assisti. Per Suburra abbiamo lavorato sei mesi ognuno con le sue scene. Per questo la mia curiosità più grande era vedere il montato per cogliere la storia nel suo insieme. Avevo voglia di scoprire anche il lavoro degli altri. Per quanto mi riguarda ho dovuto lavorare su me stessa per ritrovare le stesse intenzioni di una scena iniziata magari un mese prima e poi interrotta. Rivedendo le puntate una dopo l’altra devo dire che sono soddisfatta, è stato bello vedere la storia che si componeva pian piano”.
Sei soddisfatta di come hai sviluppato il tuo personaggio?
“Livia è una donna molto determinata il cui primo obiettivo è risolvere problemi familiari non facili: odi che vanno sedati, rapporti padre-figli conflittuali, rivalse personali. Ha anche una gestione più ampia di quello che è un “mondo di mondi”, che include anche quel famoso “mondo di mezzo”, fatto di criminalità e politica. Registi e produttori hanno catturato davvero bene i personaggi, sono così attuali e reali. Se funzionano è merito di un lavoro corale.”
In che senso?
“Nel senso che in una fiction, ma anche nel cinema, la confezione è molto importante. L’attore è solo uno dei componenti. Per quel che riguarda il mio personaggio, Livia, trovo che stia all’interno di questo disegno in una maniera che funziona”.
E poi si dice che l’attore di teatro non sia mai soddisfatto di sé stesso.
“Di me stessa non sono critica, “di più” che critica, ma non credevo fosse “prerogativa” della categoria dell’attore di teatro. Il fatto è che a teatro quanto piaccia il tuo personaggio lo sai subito in base agli applausi del pubblico, non ai “Like” che ricevi”.
Quale ruolo ti incuriosisce dopo Suburra?
“Innanzitutto vorrei esplorare il cinema che è ancora diverso da televisione e teatro. Per quanto riguarda il ruolo vorrei fare qualcosa di completamente opposto perché mi diverto a cambiare punto di vista. Se “Livia” era forte, una virago, una cosiddetta “donna alfa”, allora mi piacerebbe interpretare una donna fragile, molto sensibile, una persona che difficilmente riesce a imporsi”.
Una donna che abbia fragilità
“Si, anche se non è che il personaggio di Livia non le abbia. Perché le persone forti sono anche duttili, quando le interpreti di permettono di piangere, di buttarti giù, di rialzarti. E’ questa duttilità che rende il personaggio forte. Chi è troppo rigido prima o poi si spezza. Certo, nel caso del ruolo di Livia il margine per usare anche questi “colori” non era tanto ma spero di averglieli dati tra le righe”.
Livia ti “calza” o è frutto di grande studio del personaggio?
“Probabilmente lo dicono tutti ma sono dell’idea che chi vuole fare questo mestiere deve essere disposto a mettersi in gioco e deve avere fatto a monte un grande lavoro su sé stesso. Conoscersi è fondamentale. Io, ma credo tutti alla fine, ho un carattere pieno di colori e sfumature. Negli anni ho voluto approfondirle, il teatro mi ha aiutato tanto perché i ruoli importanti che ci sono, sono completamente diversi tra di loro e quindi ti consentono di esplorare tutto l’arco della tua personalità. Diciamo che nell’interpretare Livia probabilmente ho trovato la modalità giusta, ho suonato le mie corde più azzeccate”.
Quindi la vera bravura di un attore non è la tecnica ma è a monte
“Senza farla alla “Actors’ Studio”, per fare il mestiere di attore devi essere curioso di fare ogni esperienza. Devi essere disposto a viaggiare, a conoscere, a parlare con chiunque, a mangiare di tutto. Perché poi quando reciti un ruolo sarai in grado di tirare fuori quel modo di parlare che hai sentito in quell’occasione, o di muoverti, o di comportarti. Io non vengo dal mondo criminale, ma comportarmi come tale non è stato così difficile perché mi sono ispirata a racconti che ho sentito, a personaggi che non ho conosciuto ma di cui ho letto molto. Certo, il fatto di essere nata a Roma e di conoscere bene la realtà romana mi ha aiutato parecchio”.
Questa passione per il teatro ti viene dalla famiglia?
“Si e no. Il mio primo spettacolo su un palco l’ho fatto a due anni: le maestre dovevano scegliere qualcuno che recitasse la poesia e visto che già parlavo, e parlavo bene, l’hanno fatta fare a me. I miei genitori mi hanno sempre spinto a conoscere, a partire, ad andare via per fare tutto quello che loro nella vita non avevano potuto fare. Tutto: dal laboratorio estivo al campo scuola, alla gita. Anche se alla fine erano gli amici quelli maggiormente coinvolti nel campo della arti, è stata la mia famiglia il motore propulsivo che mi ha spinto al di fuori dei miei confini”.
Quando è stato il momento in cui hai detto: la recitazione è il mio lavoro.
“Ho sempre fatto spettacoli teatrali amatoriali, almeno uno all’anno. Fino a che un giorno, mi ricordo che facevo l’università e la recitazione era una passione relegata al tempo libero, mi è scattato dentro qualcosa che mi ha fatto decidere di farlo come lavoro. E’ stato un salto mortale, perché la differenza tra farlo solo per piacere a farlo anche per vivere è abissale. Però mi rende felice. Il mio sogno infatti è essere felice, non vincere un Oscar. Oggi lo sono. Tra qualche anno chissà. Potrei ritrovarmi in Nicaragua come in Svezia perché le cose potrebbero cambiare. Il cambiamento è sempre qualcosa di positivo”.
C’è spazio per altre passioni oltre al teatro?
“Ho la passione per il bello, quindi viaggiare, leggere, vedere. Sono molto curiosa, amo l’arte in ogni sua forma. Mi nutro di tutto quello che c’è di bello quando posso”.
Qualcosa di più “materiale”?
“Sono un’attrice che se la cava molto bene in cucina. Mi piace cucinare, mi piace mangiare bene. Sono molto brava con i primi. Anche fare un buon primo è arte. Del buono invece che del bello ma è sempre arte”.
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