Immaturi – La serie, Rolando Ravello: “I veri immaturi sono quelli della mia generazione e non i ragazzi che frequentano il liceo” [ESCLUSIVA]

È un uomo che agisce “di pancia” sia nella vita che sul lavoro. Classe 1969, ha raggiunto il successo grazie ad una buona dose di adrenalina, curiosità e tanta umiltà. Stiamo parlando di Rolando Ravello, regista, attore e sceneggiatore di alcuni dei più bei film italiani degli ultimi tempi. Dopo trent’anni di carriera attoriale, ha trovato la sua dimensione dietro la macchina da presa, alternandosi fra regia e sceneggiatura. Lo abbiamo incontrato a Roma, tra un impegno lavorativo e l’altro, e ci ha accolti con molto entusiasmo. Persuasivo, dinamico e anticonformista, il regista di “Immaturi – La serie” ci ha parlato della sua “attuale immaturità” e della continua dedizione per le cose belle.

Che cos’è per te l’immaturità?

A 47 anni credo che una persona acquisisca la maturità quando è in grado di saper disinnescare una tensione a prescindere dal comportamento o dalla reazione dell’altra persona. Questo sia in un rapporto di coppia che nella vita. Mentre l’immaturità ci porta ad affermare ad ogni costo la nostra forza, il nostro potere. Se volete una risposta ludica, a quasi 50 anni, continuo a fare tutte le cose più pericolose che ho a portata di mano, dal paracadute alle corse in pista con le macchine. Sono un “malato di adrenalina”, questa è la mia vera immaturità!

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Qual è stato l’evento che ti ha maggiormente segnato durante l’adolescenza?

L’evento che mi ha portato a diventare la persona che sono risale al periodo liceale. In quarto ginnasio mi sono impuntato con i miei genitori perché volevo cambiare scuola. Fino al quarto anno ero un “soggetto” (come si dice a Roma), ero basso, grasso, venivo preso in giro da tutti. La scuola dove stavo contribuiva ad ingigantire questo malessere rendendo la mia adolescenza ancora più difficile. Dunque ho cambiato scuola e in quinto ginnasio sono finito in una classe dove ho incontrato dei compagni che erano i “fighi” del liceo che, al posto di emarginarmi, mi hanno preso per mano. Non ho mai capito perché erano così buoni con me. Non so che chimica sia scattata, ma devo ringraziare loro per quello che sono diventato. Sono cresciuto con e grazie ai miei nuovi amici.

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Dopo aver conseguito la maturità, cosa volevi fare da grande?

Il pilota, ma mi piaceva tantissimo fare anche l’attore, infatti ho iniziato a recitare a 17 anni, anche se non avrei mai pensato di riuscirci. Mi sembrava molto più fattibile la carriera automobilistica. Ma la vita è strana. L’estate dell’ultimo anno di liceo stavo andando a fare un provino a Vallelunga per un campionato di formula dell’epoca, perché, forse, mi avrebbero preso per darmi una macchina per la competizione. Nel tragitto da casa mia a Vallelunga ho avuto un incidente ed il provino è saltato. A settembre ho provato ad iscrivermi a scuola di recitazione ed è andata bene.

Per quanto riguarda “Immaturi – La serie” hai optato per scelte registiche diverse rispetto a quelle adottate da Paolo Genovese in “Immaturi” e “Immaturi – Il viaggio”?

È stato stranissimo. Non sapevo se ce l’avrei fatta o meno. Ho superato vari ostacoli, tra cui i tempi televisivi: ogni puntata di 80 minuti l’abbiamo girata in 3 settimane. Avevo poco tempo a disposizione, ma nonostante questo non volevo assolutamente perdere di qualità. Inoltre, mi sono trovato di fronte ad altre difficoltà. Mi sono occupato di un progetto che ha avuto un grande riscontro positivo in termini di pubblico, a cui Paolo è molto affezionato, in quanto rappresenta il suo primo grande successo; per lui “Immaturi” è come un figlio, dunque non volevo deludere né lui, né Mediaset e nemmeno me stesso. Quindi per realizzare un prodotto di qualità ho cercato di fare una regia che mi accontentasse, molto di pancia, emotiva e comica. Su questo aspetto con Paolo siamo molto simili. Avevo il chiodo fisso di far contento lui e la Lotus. Con questo lavoro ho imparato tanto. Ho cercato di fare un prodotto che sapevo che li avrebbe appagati come tempi, emozioni e qualità, mettendoci però del mio. Alla fine ho raggiunto l’obiettivo: sia io che Paolo siamo molto entusiasti del risultato!

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“Immaturi” ed “Immaturi – Il viaggio” sono stati diretti entrambi da Paolo Genovese, perché per questo progetto ha scelto proprio te?

Paolo è molto generoso, mi fa sempre dei regali inaspettati!

Dove avete girato “Immaturi – La serie”? E quanto sono durate le riprese?

La serie è stata girata a Roma e in Sicilia, a Noto. Abbiamo girato per sei mesi e fino a fine settembre.

In quale personaggio ti rispecchi maggiormente e perché…

Per assurdo in quello di Luigi Sorti, che è uno dei ragazzi, interpretato dal giovane attore Mario Bovenzi. L’ho conosciuto qualche anno fa al provino del mio film “Tutti contro tutti”. Sono rimasto colpito: era proprio quello che ero io da bambino. Ora è un adolescente e il personaggio che interpreta nella serie è proprio quello inadatto, quello preso in giro, quello che vive in una realtà diversa e che non riesce ad omologarsi al resto della classe. Mi ci rispecchio in pieno.

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Perché i telespettatori dovrebbero guardare “Immaturi – La serie”?

Perché “Immaturi – La serie”, come il film, rappresenta il mondo dorato di ognuno di noi. Ed in più, grazie ai tempi televisivi più ampi, rispetto a quelli del film al cinema, abbiamo avuto la possibilità di far frequentare ai nostri protagonisti le lezioni scolastiche, per un arco temporale della durata di un anno con il rispettivo esame finale; mentre nel film, visti i tempi ristretti, l’esame l’hanno svolto da privatisti. Inoltre, da questa serie verrà fuori un messaggio importante: noi ci lamentiamo tanto dei ragazzi di oggi e li accusiamo del fatto che non siano abbastanza strutturati, ma la verità è che i veri immaturi sono quelli della mia generazione e dalle lezioni scolastiche verrà fuori proprio quest’aspetto, in quanto i personaggi staranno a stretto contatto con i ragazzi. I veri immaturi sono i quarantenni di oggi e non i giovani che frequentano il liceo.

Progetti attuali…

È un periodo molto intenso. Insieme a Paolo Genovese stiamo scrivendo il suo nuovo film, mi sto occupando del montaggio di “Immaturi – La serie” e inoltre vorrei iniziare a scrivere il mio film, da girare, spero, dopo l’estate.

Qualche anticipazione…

Non posso svelarvi nulla, se non che è un film tutto al femminile. E’ una commedia “come piace a me” che parte da spunti reali e poi prende derive morbide, un pò favolistiche .

C’è qualcosa che nessuno ti ha mai chiesto ma che vorresti fare?

Nessuno mi ha mai chiesto di fare Riccardo III: è il mio sogno nel cassetto da sempre. Il teatro è l’unica cosa che ho voglia di fare come attore.

L’ ultimo film in cui hai recitato…

Dopo aver recitato nel mio film “Tutti contro tutti”, la mia passione per la televisione e il cinema stava scemando, perché in Italia è raro avere l’opportunità di fare ruoli che ti diano soddisfazione e io l’attore lo faccio per passione, non per apparire. Invece la maggior parte delle volte ti capitano ruoli che non ti appagano. Invece “il teatro è sangue”, da sempre.

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Data la tua precedente carriera d’attore, quando scrivi delle nuove storie e dai vita a nuovi personaggi, ti capita di pensare “questo ruolo potrei farlo io” o “sarei perfetto per questo ruolo”?

No, perché non ne sento il bisogno. La fortuna è che avendo fatto l’attore per ben 30 anni, mi recito tutti i personaggi del film e questo mi aiuta moltissimo e aiuto anche coloro che lavorano con me, perché i personaggi li vedo, li sento, so come parlano e come si muovono.

Questo per te è un periodo molto fortunato in ambito lavorativo. Che cos’è per te il “successo”?

È riuscire a fare cose belle per se stessi, che ti appaghino, con cui hai la possibilità di vivere. Il successo non significa arrivare primi.

Prima hai dichiarato di aver vissuto un’adolescenza difficile. Hai mai avuto, in passato, l’esigenza di arrivare primo? Di prevaricare sugli altri o di apparire, per non sentirti inferiore a nessuno?

La mia adolescenza difficile paradossalmente mi ha dato la forza di salire sul palcoscenico, che comunque rappresenta una posizione di dominanza. Ma non c’è mai stata la voglia di diventare popolare o apparire o di prevaricare sugli altri, ma solo la voglia di diventare bravo.

A proposito di popolarità e apparenza, che consiglio daresti ai giovani d’oggi che vogliono diventare attori?

Consiglio di studiare. Ci sono giovani attori che hanno talento da vendere, ma che però non sono strutturati. Fare l’attore non significa dire delle battute davanti ad una macchina da presa. L’attore è un ponte che trasporta emozioni. L’attore è un medium, è una parabola, è in grado di farci provare, scoprire sensazioni ed emozioni intrinseche in ognuno di noi che, messe in evidenza, acquistano un valore aggiunto. È un mezzo e come tale deve avere una sua dignità. Al giorno d’oggi gli aspiranti attori mirano solo alla popolarità, al fatto di apparire su delle copertine. La cosa che paga nel tempo è l’umiltà, la passione e la “tigna”, non bisogna demordere mai.

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