Ninni Bruschetta ha appena presentato a Bologna, presso l’Oratorio San Filippo Neri, la sua seconda fatica letteraria intitolata “Manuale di sopravvienza dell’attore non protagonista”, un viaggio attraverso i personaggi che l’hanno reso famoso sia al cinema che in tv. A Velvet Cinema ha raccontato il suo impegno, nella vita reale, contro la mafia che in televisione ha invece combattutto in tanti telefilm di successo.
Ci sono attori che interpretano centinaia di pellicole nella parte di “non protagonisti”: spesso “spalla”, antagonista dell’eroe, cattivo o semplicemente secondario, sono ritenuti dai registi indispensabili perché hanno anni di mestiere sulle spalle e un talento confermato dai successi di pubblico e critica. Passano da un set all’altro con la straordinaria capacità di calarsi nel personaggio, spesso impegnati contemporaneamente su due film diversi. Tra questi c’è Ninni Bruschetta, molto amato da chi di cinema se ne intende davvero. Tra i suoi ultimi successi “Quo Vado”, di Checco Zalone, “Come diventare grandi nonostante i genitori”, di Luca Lucini, e poi le serie tv “Questo è il mio paese”, di Michele Soavi. E la lista è ancora lunga. Ninni Bruschetta ha appena presentato a Bologna il suo secondo libro, “Manuale di sopravvivenza dell’attore non protagonista”, in cui spiega al lettore il lungo percorso attraverso i ruoli che lo hanno consacrato al grande pubblico come il direttore della fotografia della serie tv “Boris”, Duccio, o il commissario Cassarà nella fiction dedicata a Paolo Borsellino. Proprio per le sue origini siciliane questo attore “messinese doc” nella vita reale non rinuncia al suo impegno contro la mafia.
“E’ inevitabile. Sono nato a Messina dove ho vissuto 28 anni prima di trasferirmi a Roma dove vivo da 26. Ora sono romano d’adozione ma sono rimasto siciliano nell’impegno, quello che io chiamo “impegno politico” perché si tratta di lotta alla mafia”.
Una realtà che conosci bene visto che oltre a essere siciliano hai partecipato a tanti film e fiction sull’argomento.
“In realtà nella serie tv “Questo è il mio paese” di Michele Soavi ho interpretato l’ex sindaco Cardi, uno di quelli che mi sono trovato sempre contro nella vita reale. “Politichetti”, bigotti, personaggi, abbastanza miserabili nella visione del mondo, piccole persone che si danno le arie come se fossero importanti e per fare questo si debbono difendere. Ma in tanti altri lavori, come la “minifiction” su Paolo Borsellino o Squadra Antimafia sono stato polizotto o comunque dalla parte delle forze dell’ordine”.
Questo “Impegno politico” in che cosa consiste?
“Sono il Direttore del Teatro Stabile di Messina, ruolo che ho già ricoperto in passato. E’ questo il mio modo di partecipare sul piano sociale, amministrativo e pubblico alla vita del mio paese. E’ la terza volta che faccio il Direttore di teatro in Sicilia e ho messo in scena gli spettacoli più duri contro la mafia che siano stati fatti. Come quello dell’”Istruttoria di Claudio Fava”, dedicato all’omicidio di suo padre Giuseppe, giornalista, dove ci sono i nomi e cognomi di tutti gli assassini e i mandanti dell’omicidio. Parliamo di una forchetta che va da Nitto Santapaola passando per i famosi “Cavalieri di Catania”, quattro imprenditori edili che dominarono economicamente tutta Catania per un certo periodo, fino a direttori di giornali. Purtroppo questo non tocca più di tanto i veri mafiosi”.
Perché?
“Lo spettacolo e la cultura non infastidiscono la mafia perché non ci arrivano proprio fino alla mafia. La mafia è una controcultura, quindi non si interessa a queste cose e non le vede come un nemico da sfidare. Anzi, non le vede proprio perché il mafioso vero, quello che appartiene alla criminalità organizzata, non sa nemmeno cosa sia un teatro e tante volte non sa nemmeno cos’è il cinema o la televisione. Non ha la cultura adatta per capire quale è lo scopo di queste rappresentazioni, il contenuto, quindi alla fine non ci minacciano mai. Al massimo ci chiedono qualche pizzo sui set in modo abbastanza miserabile e il più delle volte vengono arrestati”.
Il tuo impegno contro la mafia ti viene dalla famiglia?
“Da mio papà. Mamma la chiamo ancora oggi, che ha 85 anni, la “principessa” perché ha governato me e la casa come una regina mentre papà lavorava tutto il giorno. Da lui ho imparato l’onestà e la vita sociale. E’ stato un avvocato importante della città che ogni volta che ha incontrato la mafia l’ha denunciata in modo sin troppo facile. “Basta difendersi subito”, dice lui. Mi ha sempre raccontato di quella volta in cui lui, che era in campo commerciale, doveva trattare la vendita di uno dei più grandi alberghi di Taormina. Durante questa riunione il direttore si alzò per andare al telefono, perché non c’erano ancora i cellulari, e quando tornò era pallidissimo. Mio padre capì che era successo qualcosa e glie lo chiese”.
Cos’era successo?
“Erano arrivati sotto l’ufficio degli emissari del clan catanese dei Santapaola, lo stesso degli assassini di Giuseppe Fava, e volevano salire per partecipare all’asta. Mio padre molto serenamente alzò il telefono, chiamò il 113, arrivarono i carabinieri e se li portarono via. Lui sostiene ancora oggi che se noi facessimo sempre così la mafia non avrebbe spazio per dominarci . Non bisogna trovare altre vie, altre strade a parte la denuncia immediata alle forze dell’ordine. La tragedia è che non riusciamo ad insegnarlo ai giovani: a far capire loro che non bisogna avere paura prima ancora che succeda qualcosa. Ho avuto la fortuna di lavorare con Pif al suo film “La mafia uccide solo d’estate”: ecco, questa è la tipica battuta di un cattivo educatore siciliano, uno che minimizza il problema davanti al bambino invece di fargli capire che deve essere nemico del crimine”.
Lei ai suoi figli cosa ha insegnato?
“I miei figli di 15 e 17 anni sono nati e cresciuti a Roma e scendono in Sicilia a trovare i nonni solo per le vacanze ma non per questo sono stati tenuti lontano dal problema mafia. Questo perché Claudio Fava, il figlio di Giuseppe, è un mio amico, presente nella mia vita e che frequenta la mia casa. Loro sanno che suo papà è stato ucciso dalla mafia, la vivono quasi come una cosa familiare. Nel mio soggiorno c’è la locandina dello spettacolo “L’istruttoria di Claudio Fava” con la foto del padre Giuseppe. Grazie al mio lavoro poi, soprattutto quando ho interpretato Ninni Cassarà in “Borsellino”, hanno appreso una storia vera e sono diventati ben coscienti del problema. Prima gli dicevo: beati voi che siete cresciuti in un posto senza mafia. Poi è arrivata mafia capitale ed è finito tutto in caciara, anche se mafia capitale è un’altra cosa rispetto alla mafia siciliana”.
Dopo tanto lavoro e impegno politico, come ti svaghi?
“Viaggiando. Mi piace tanto anche se lavoro. Una settimana storica ho girato contemporaneamente “Fuoriclasse”, “Boris” e “Squadra Antimafia”. Ho fatto il lunedì Boris a Roma, martedì Fuoriclasse a Torino, Mercoledì Antimafia a Palermo, giovedì e venerdì Boris a Roma e sabato Fuoriclasse a Torino”.
Una tantum si può fare
“Mi è successo moltissime volte! Una volta ho accettato due film contemporaneamente e ho passato cinque giorni in macchina tra Torino e Trieste durante l’alluvione di Vicenza. Ogni notte facevo in macchina 550 chilometri perché non ci sono aerei tra Torino e Trieste e io giravo un giorno con Giulio Base a Torino e il giorno dopo con Margarethe Von Trotta a Trieste. Un’altra volta ero impegnato in Sicilia in una campagna elettorale per la regione siciliana a dove ero assessore designato. Ho preso un aereo da Trapani, ho girato una posa con Edoardo Leo, il giorno dopo ho preso un altro aereo per girare una posa a Belgrado, la mattina dopo ancora Roma per due pose con Edoardo Leo e poi a Torino per un film con la Littizzetto. Amo spostarmi da un luogo bello a un altro bello per fare il lavoro più bello del mondo”.
Photo credits: Sosiapistoia.it, Twitter
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