Gianfranco Gallo, figlio del grande Nunzio Gallo, è un autore e attore teatrale e cinematografico. Tra i film da lui interpretati: “Fortapàsc” e “Tre tocchi” Marco Risi, “Milionari” di Alessandro Piva, “Take Five” di Guidi Lombardi, per citarne solo alcuni. Di recente è stato tra i protagonisti della seconda stagione di “Gomorra” e di “Indivisibili” di Edoardo De Angelis. In questa intervista si racconta in esclusiva.
Di recente è stato uno dei protagonisti principali del film “Indivisibili” diretto da Edoardo De Angelis, vestendo i panni di Don Salvatore, un personaggio complesso quanto distaccato dal genere di ruoli da Lei interpretati in passato. Come definisce il Suo ruolo all’interno del film?
Lo definirei un personaggio urticante, una personalità che non sai come interpretare, un uomo alla deriva in un mondo alla deriva tra sacro e profano, il confine labile tra religione e credenza sfruttato a proprio vantaggio, un bilancino truccato sul quale vi si pone paganesimo e cristianità. Ho vissuto per un po’ a Lago Patria e lì qualche Don Salvatore l’ho visto, si gioca sui bisogni degli extracomunitari. L’interpretazione mi ha portato grandi soddisfazioni e molti riconoscimenti da parte di pubblico e addetti ai lavori.
Il film è ambientato a Castel Volturno, una sorta di terra di nessuno che molti tendono a dimenticare per tanti motivi. Perché il regista ha scelto proprio questo luogo? C’è un messaggio sottile dietro questa scelta?
Edoardo De Angelis tiene molto a queste zone, lui è cresciuto a Caserta, ma la visione dei luoghi del degrado per lui ha un altro senso. Lui crede che da quella fine sia possibile solo la nascita di una Nuova Bellezza. I panorami naturali sono stupendi, i tramonti, l’alba, lì sono davvero un invito alla speranza. La speranza forse sta proprio nella gente per bene che è parte degli immigrati che vi risiedono.
Il sogno di Viola e Dasy (Angela e Marianna Fontana), le due protagoniste di “Indivisibili”, è poter vivere una vita normale. Con questo termine si intende una normalità soltanto fisica o c’è un doppio significato che il regista vuole trasmettere?
Ho sentito Edoardo più volte spiegare il suo punto di vista, lui col film ha voluto trattare il tema della separazione, una separazione che, sebbene dolorosa, è fondamentale per la crescita personale. Sono d’accordo con lui: la vita è tutta una serie di necessari abbandoni per cercare di crescere.
Cos’è per Lei la normalità?
L’ artista non conosce normalità, conosce un suo modo di vivere che è obiettivamente fuori dalla norma in termini almeno statistici.
Essendo anche Lei un regista, dal Suo angolo prospettico di addetto ai lavori, quale aspetto ha più apprezzato durante la realizzazione del film?
La determinazione di De Angelis e la sua sicurezza, che mi hanno consentito spesso di confrontarmi con lui positivamente. A volte trovi registi insicuri con i quali è meglio non discutere per non toglier loro altre certezze. Un regista come lo sono io, quando sceglie di essere diretto, deve accettare un punto di vista, ma sente di doversi confrontare, seppur nei limiti. Qualche regista non ama attori registi.
Lei è stato uno dei protagonisti della seconda stagione di “Gomorra”. Il personaggio da Lei interpretato inizialmente era molto diverso, ma poi è stato adattato dal regista alla Sua personalità. In che modo è stato cambiato?
Fisicamente era enorme, io sono più alto solo di Al Pacino e di Dustin Hoffmann, credo, anche se non è poco. Scherzi a parte, era descritto come un omaccione e Sollima cambiò tutto, sono soddisfazioni.
I fan di “Gomorra” sono già in trepida attesa della terza stagione di una delle serie TV più seguite in Italia e non solo. Avremmo l’onore di vederLa anche negli episodi futuri?
Se vorrete rivedermi davvero, non fatemi parlare, abbiamo il veto.
Nella Sua lunga carriera ha interpretato molteplici ruoli di grande carattere, quali O’ Jannone in “Take Five” di Guido Lombardi o Gabriele Donnarumma in “Fortapàsc” di Marco Risi. Qual è il personaggio che più ha amato interpretare e soprattutto qual è quello che sente più vicino alla Sua personalità?
Al Cinema non ho ancora interpretato un personaggio vicino al mio modo di essere, diciamo che il compito di un bravo attore è quello di presentare se stesso al personaggio e il personaggio a se stesso, ecco che dunque tutti i personaggi alla fine hanno qualcosa di mio. Donnarumma i silenzi , ‘O Jannone l’autoironia feroce, Don Carmine de “Milionari” il fatto di sapersi isolare, Don Salvatore il gusto di osare, lui è un prete col giubbino trend, l’orecchino e gli anelli.
In “Fortapàsc”, ma anche a Teatro, oltre che a Cinema, ha lavorato al fianco di Suo fratello Massimiliano. Un grande sodalizio artistico il vostro?
Purtroppo, essendo possibilmente autonomi, artisticamente ci dividono sempre. Il nostro sogno è fare compagnia insieme per sempre, come i Giuffrè. Come coppia siamo imbattibili. Ancora non hanno capito che salvadanaio saremmo, anche dal punto di vista commerciale. L’ultima volta che abbiamo calcato le scene, per un progetto comune che coinvolgeva tutta la famiglia, fu per la volontà di un ostinato impresario Old Style, Carmine Gambardella, che purtroppo si trovò a lottare coi poteri forti del Teatro in Italia. Ma io e Massimiliano abbiamo lo stesso obiettivo e ci riusciremo. Mi piacerebbe fare un film insieme come eroe ed antieroe, io chiaramente sarei l’antieroe.
Divide la Sua carriera tra Teatro e Cinema, riscuotendo in entrambi gli ambiti grande successo, ma qual è la dimensione che predilige e quale delle due realtà artistiche sarebbe irrinunciabile per Lei?
Oggi il Teatro è politico e io ne sto fuori volontariamente, non faccio parte di clan, non lavoro per gli stabili, non prendo soldi pubblici, non avrò mai premi ufficiali, sono anche un po’ scomodo perché spesso non mi mordo la lingua. Chiaramente sarei condannato a sparire dai teatri ufficiali, viva allora il Cinema e la TV che mi danno l’opportunità di fare Teatro solo grazie al botteghino.
Lei è autore di molti testi, ha scritto molteplici commedie e musical di successo, quali: “Napoli 1799″,”Quartieri Spagnoli”, “Ti racconto Miseria e Nobiltà”, “Non ci resta che ridere”, “Ti ho sposato per ignoranza”, per citare solo alcuni titoli della Sua vasta produzione teatrale. Qual è secondo Lei il segreto di un regista per indurre gli spettatori a ritornare a teatro in tempi in cui il cinema e il piccolo schermo stanno ormai prendendo il sopravvento?
Se lo sapessi, avrei vinto, ma ci sto lavorando. Credo che oggi funzioni la fidelizzazione, il pubblico deve sapere cosa va a vedere, oggi sono abituati alla TV monotematica. Alla fine è stato sempre così, se è vero come è vero che Molière è riconoscibile immediatamente, così come lo sono un Eduardo o uno Shakespeare. Bisogna sorprendere sempre, ma avere un proprio stile che sia garanzia.
Figlio d’arte del grande Nunzio Gallo, da cui ha ereditato anche una splendida voce. Ha mai pensato di incidere un disco tutto Suo?
A breve registrerò un CD con brani originali e interpretazioni mie di brani famosi. Me lo chiedono spesso, lo farò.
Progetti futuri?
Non si parla dei progetti futuri, ho imparato a mie spese che, per realizzare qualcosa, bisogna farsi dimenticare un po’.
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