Arriva su Canale 5 la miniserie in quattro puntate prodotta da Taodue che racconta dall’interno la più grande organizzazione criminale del mondo: la Ndrangheta calabrese. Un mondo, fatto di omertà e legami di sangue indissolubili, raccontato attraverso gli occhi di Marco, agente sotto copertura il cui nome in codice è “Solo”. A interpretarlo, in maniera intensa e convincente, Marco Bocci, alle prese con le difficoltà di ogni giorno per non far scoprire la sua vera identità e con scelte difficili che gli cambieranno la vita.
Estorsioni, traffico d’armi e di esseri umani. Narcotraffico. Sono solo alcune tra le “attività” trattate dalla Ndrangheta, associazione mafiosa radicata in Italia, Calabria, ma anche in Germania, in Canada, Sud America. Il suo giro d’affari si attesta intorno ai 44 miliardi di euro l’anno. Il mondo della Ndrangheta è fatto di omertà, legami di sangue indissolubili. Infiltrarsi in questo “mondo perverso” è difficile: lo sa bene Marco, nome in codice “Solo”, che decide di imbarcarsi in una missione che metterà a rischio la sua salute mentale, fisica, e la sua vita privata.
Sei soddisfatto del risultato?
“Sono felice soprattutto perché personaggi tra i quali il Procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho e il Questore Raffaele Grassi hanno detto che in questa serie tv c’è un substrato di verità e che la mia interpretazione è convincente. Ovviamente “Solo” è fiction ma il mio ruolo è fedele a quello che può essere un vero informatore. Per un attore non c’è soddisfazione più grande sapere di aver dato vita a un personaggio credibile secondo gli “esperti” del settore”.
Chi è “Marco Solo”?
“Un agente dello “Sco” sotto copertura la cui missione è infiltrarsi nella ‘ndrina che controlla il proto di Gioia Tauro: un porto che è il più grande snodo per i traffici illeciti nel Mediterraneo. Ha una compagna che lavora con lui nella squadra ed è molto motivato: ha interiormente tutta una serie di tensioni e conflitti che lo affliggono. E’ un personaggio che esiste nella realtà e tutta la storia è ispirata a fatti realmente accaduti anni fa.
Cosa hai imparato nell’interpretarlo?
“E’ stato un impegno profondo. Questo personaggio mi ha fatto conoscere dinamiche reali di persone che fanno davvero questo lavoro, che da anni sono all’interno di questo ambiente che certe volte può essere di una crudeltà pazzesca. Questa crudeltà è stata messa in scena senza cercare di “esaltare” il male. La volontà è sempre stata quella di non “mitizzare” i cattivi. I cattivi sono cattivi e basta, non sono “forti” o “eroi”. Mi sono reso conto strada facendo di quale sia l’impegno di alcune persone per la nostra sicurezza. Aver interpretato un ruolo del genere mi ha fatto cambiare parecchi punti di vista”.
Come ti sei preparato per diventare Marco “Solo”?
“Mi hanno chiesto se mi sia ispirato al film “The Departed” dove Leonardo Di Caprio era proprio un infiltrato: devo dire che mentre giravamo ci ho pensato spesso e ne ho parlato con il regista di “Solo”, Michele Alhaique. Alla fine devo dire di no, forse l’ho preso come punto di riferimento per alcune dinamiche della serie. Mi sono preparato in modo attento fin dall’inizio perché volevo fortemente mettere in scena un personaggio reale, percepito dal pubblico non come “recitato da un attore” ma “vero” fino in fondo. Il meccanismo è stato piuttosto semplice: ho riportato ogni avvenimento e ogni emozione che viveva “Marco Solo” a “Marco Bocci” e ho ragionato in prima persona cosa avrei fatto io, come avrei reagito io nella mia vita odierna”.
In che senso?
“Che mi sono imposto di far passere ogni situazione non attraverso gli occhi dell’agente esperto che fa questo lavoro da anni e conosce bene la criminalità organizzata ma attraverso i miei, totalmente “inesperti”, “vergini”. Ragionavo con il metro: “cosa avrei fatto io?”. Logicamente mi sono confrontato in maniera spasmodica con il regista perché sentivo che la corrispondenza con la realtà in questo caso era fondamentale”.
Non c’è stato qualche richiamo a personaggi interpretati in precedenza?
“Come Carcaterra di Squadra Antimafia? No, Marco Solo è completamente diverso. Tutto qui è completamente diverso. In altre serie americane, anche in “Gomorra”, si tende a “mitizzare” il cattivo: quello è il genere Crime, un genere cinematografico o televisivo, a seconda del prodotto, già affrontato da grandi registi come Martin Scorsese. “Solo” invece è un poliziesco, dove un poliziotto entra nel mondo criminale e gli spettatori lo scoprono attraverso i suoi occhi. In questo telefilm si esplorano le dinamiche umane di un uomo pronto a rischiare tutto per raggiungere il suo obiettivo. Anche la sua stessa vita o la sua integrità. E’ un uomo ossessionato dalla sua missione”.
Photo credits: ufficio stampa Mediaset, Taodue