Esce nelle sale Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti, con Claudio Santamaria che veste i panni di un supereroe metropolitano convincente e originale
Da giovedì 25 nei cinema italiani fa capolino Lo chiamavano Jeeg Robot, attesa pellicola diretta da Gabriele Mainetti, che ha come protagonista un Claudio Santamaria in stato di grazia. L’attore incanta tanto nella sua interpretazione quanto nella canzone della sigla del cartone animato che fa rivivere con la sua voce roca e particolare (ve l’avevamo proposta qui assieme al trailer). Ma è tutto il film a funzionare come un orologio, grazie anche alla bravura di Luca Marinelli, nei panni del villain di turno, e, più in generale, alla sceneggiatura senza sbavature firmata da Menotti e Nicola Guaglianone.
La trama è presto detta: il romano Enzo Ceccotti vive a Tor Bella Monaca e sbarca il lunario con piccoli furtarelli, tra un film per adulti e un barattolo di yogurt; un giorno ha la polizia alle calcagna e per mettersi in salvo si tuffa nel Tevere, trovandosi a contatto con alcuni fusti contenenti rifiuti tossici. Un liquido che gli cambia l’esistenza, conferendogli superpoteri. Che lui, guarda un po’, pensa subito di sfruttare per ritagliarsi uno spazio di prestigio nel mondo del crimine. Il destino, però, gli gioca un altro tiro inatteso facendogli incontrare Alessia (Ilenia Pastorelli), convinta che lui sia l’eroe del famoso cartone animato giapponese Jeeg Robot. Come se non bastasse, nella zona imperversa una guerra tra due clan rivali e il ragazzo, con i suoi poteri, fa gola a entrambi gli schieramenti.
Il film di Gabriele Mainetti riesce dove aveva fallito Gabriele Salvatores con Il ragazzo invisibile, ovvero convince appieno nonostante sia una storia di supereroi. I rifiuti tossici, la difficoltà ad accettare i superpoteri e poi il trauma e la decisione di dove schierarsi mentre dall’altra parte sorge anche una nemesi. Perfino la nascita di una storia d’amore. Insomma, i canoni classici del genere fumettistico ci sono tutti ed è l’ottima sceneggiatura che riesce a rendere credibile lo scenario italiano (e per la precisione Roma), traducendo da una parte i personaggi tipici nei loro equivalenti da malavita capitolina, dall’altra giocando sul contrasto tra i topoi dei fumetti e il dialetto romanesco.
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