Era una fredda sera di cinque anni fa quando Mario Monicelli, malato da molti anni di cancro alla prostata e oramai arrivato nella fase terminale delle malattia, decise di togliersi la vita gettandosi dal quinto piano dell’Ospedale San Giovanni di Roma, dove era ricoverato. In questa maniera tragica, che scosse le coscienze dell’opinione pubblica, il Cinema italiano perdeva uno dei grandi Maestri dell’ultimo secolo.
Monicelli durante la sua carriera ha girato più di sessanta film e scritto all’incirca ottanta sceneggiature, lasciando in eredità alla cultura cinematografica italiana veri e propri capolavori. Come: Amici miei (1975) o La ragazza con la pistola (1968), pellicole che raccontano con ironia e occhio critico le debolezze e le virtù degli italiani. Ma non è stato solamente regista, anche intellettuale capace di analizzare con profonda saggezza la vita politica e sociale del nostro paese. Famosi i suoi scontri con un altro dei grandi della macchina da presa: Antonioni.
Indimenticabile il film I soliti ignoti diretto dal regista nel 1975, dove insieme a Marcello Mastroianni e Totò scelse come uno dei protagonisti Vittorio Gassman. Ma non fu solo autore di commedie, nel corso degli anni si dedicò a tematiche sociali, come Un borghese piccolo piccolo(1977) con Alberto Sordi tratto dall’omonimo romanzo di Vincenzo Cerami, presentato al Festival di Canne dello stesso anno, si aggiudicò tre David di Donatello e quattro Nastri d’argento.
Uomo caratterizzato da una vitalità instancabile che nel 2006 lo portò ancora una volta dietro la macchina da prese per dirigere Le Rose del deserto, con il suo gesto drammatico di togliersi la vita lascia al suo pubblico un’enorme lezione di vita, sul senso del vivere. Pochi anni prima di morire in un’intervista dichiarò di non avere paura della morte dicendo: “La vita non è sempre degna d’essere vissuta. Se smette d’essere vera e dignitosa non ne vale la pena.”
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