Monica Guerritore, Non uccidere: “Quando una madre sceglie di farsi odiare dalla figlia”

Non ha paura di sacrificare la propria bellezza per esigenze di scena, Monica Guerritore. Non teme che la gente, al cinema o in tv oppure su un palcoscenico teatrale, veda il suo viso troppo segnato, i capelli raccolti o tagliati male, gli abiti troppo severi e grigi o castigati. Penalizzanti. Se ne frega, Monica Guerritore. Per due motivi: prima di tutto è convinta che simili trasformazioni, questa sorta di prevalenza – e anche prepotenza – del ruolo da interpretare sull’interprete stesso faccia semplicemente parte del mestiere d’attore. Un mestiere che lei conosce bene, che le scorre dentro dandole sempre nuova linfa. “In America c’è il gusto di dimenticare se stessi e trasformarsi nel personaggio e il primo che mi viene in mente, per esempio, è Johnny Depp. Adesso alle prese con tutte quelle critiche a Venezia…“, dice. In Italia ancora no, ahinoi forse siamo lontani da quel gusto ma nella vita bisogna avere fede. Prima o poi accadrà. Il secondo motivo per cui questa Signora delle scene nostrane si mette al servizio di eventuali metamorfosi è la sicurezza. Conosce la potenza del proprio talento e le sue capacità seduttive, anche se ha dovuto percorrere una lunga strada prima di acquisirne piena coscienza. Però adesso la ascolti, la guardi e ti viene in mente un puzzle completato. Tassello dopo tassello, ecco l’immagine di una donna e un’artista compiuta. Definita. Che però conserva un’umiltà per certi versi spiazzante. Ma l’umiltà, d’altronde, spesso è direttamente proporzionale alla qualità vera. Pensateci.

E allora sì, dopo Trilussa, miniserie tv diretta da Lodovico Gasparini, Monica Guerritore ha di nuovo rinunciato al suo fascino. L’ha fatto per Lucia Ferro. L’ha fatto per la parte che le hanno affidato in Non uccidere, fiction che debutta l’11 settembre in prima serata su Raitre. Lucia è la madre della protagonista Valeria, i cui panni sono indossati da Miriam Leone. Esce dal carcere dopo 17 anni, l’hanno messa dietro le sbarre con l’accusa di aver ammazzato il marito. Valeria, in quella notte maledetta, da una parte ha perso il padre e dall’altra ha cancellato la madre dal proprio cuore. O almeno è convinta di averlo fatto. La verità, però, non ha mai smesso di cercarla. La rabbia non l’ha mai abbandonata ed è così tanta che la riversa anche nei casi da rivolvere. Valeria è commissario presso la Sezione omicidi della Squadra mobile di Torino. Guardare nuovamente sua madre negli occhi le farà capire che la ferita non ha mai smesso di sanguinare. E il dolore sarà reso ancora più grande e frustrante dal silenzio categorico in cui Lucia si rifugia.

Ancora una volta alle prese con un personaggio forte, tutt’altro che facile. E senza dubbio ricco.
La particolarità, la grandezza di questo personaggio sta nel suo stesso mistero, nutrito da una vita passata. Solo Lucia conosce, solo lei sa cos’è successo davvero. Valeria e gli spettatori possono solo avere percezioni. E, allo stesso tempo, proprio questo mistero, questo silenzio, questo non detto aumentano il senso di giustizia in Valeria. Si trasformano in una carica in più, una forza quasi demoniaca che va molto oltre il normale e che lei utilizza nel suo lavoro. Valeria è impetuosa nel cercare di capire cosa accada nelle famiglie perché, in fondo, vuole prima di tutto capire cosa sia successo nella sua. La ricerca del male nelle famiglie degli altri rispecchia la ricerca del male nella propria.

La madre non permette alla figlia di “entrare”.
La madre non permette alla figlia di tornare ad amarla. Resta fredda, lucida. Non lascia trasparire nulla, diventa quasi impossibile capire se la sua permanenza in carcere sia stata ingiusta. Se in ballo ci sia una menzogna.

Ma davvero una madre può accettare l’idea che sua figlia finisca per odiarla, e anzi alimentare l’odio?
Bella domanda… Sì, può. E i motivi possono essere tanti. Può anche essere un estremo atto d’amore.

Valeria arriva davvero a un sentimento così negativo?
E’ divisa fra odio e amore. Non riesce a raggiungere la guarigione interiore e lo si capisce bene in una scena molto drammatica in cui accusa la madre di non aver mantenuto la promessa che le aveva fatto: “Sei tu che me lo hai giurato da piccola! Mi dicevi ‘ricordati amore mio che l’amore è per sempre… E allora dov’è? Dov’è mio padre? Dove sei stata tu, mamma, in tutti questi anni?“.

Ma Lucia continua a non parlare.
Già. Però c’è sempre la percezione, che ha un ruolo fondamentale e gradualmente accompagna Valeria e lo spettatore verso la verità. Sono certa che ci seguirà questa storia più volte si domanderà “ma perché si comporta così?” (sorride, ndr).

Com’è stato lavorare con Miriam Leone?
Ho incontrato Miriam qualche anno fa a Roma, alla Casa del Cinema. Tutte e due facevamo la presentazione di un film ma non ci conoscevamo. Era seduta poco distante da me. Ho notato subito la sua bellezza aristocratica, diversa da tutte le altre. La perfetta grana della pelle. La sua grazia. E la grazia è la prima cosa che deve possedere un’attrice. Lavorando con lei ho poi scoperto la sua tenacia, la sua sbalorditiva forza di sopportazione. Mi somiglia, Miriam. Abbiamo lo stesso modo di affrontare i personaggi come fossero “maschi”. In modo virile. Nella scena di cui parlavo prima, ha fatto piangere tutti. Solo io sono riuscita a trattenermi, ma giusto perché stavo recitando…

Monica Guerritore che dice di un’attrice emergente “Mi somiglia”: Miriam non può che essere felicissima.
Ma io non sono niente. Sono sempre alla prima volta. Lucia Ferro è la prima volta che la interpreto. Sarebbe terribile usare per un personaggio le stesse cose usate per un altro.

E’ molto soddisfatta di questa fiction e del risultato.
Sì, è stata un’esperienza molto coinvolgente e che in qualche modo si è contrapposta alla Mostra di Venezia, al red carpet, agli abiti belli, ai gioielli, alla pettinatura perfetta. Proprio qualche giorno fa ho infatti doppiato le ultime scene rimaste e devo dire che è stato bellissimo rivedermi con quel volto devastato. Tirato. Sofferente.

Queste parole però potrebbero sembrare un paradosso…
Ma vedi, non sono io a mettermi in gioco. Perché io, poi, finisco di lavorare e posso andare senza problemi su un tappeto rosso. Non perdo nulla, non ci rimetto. In ballo ci sono i personaggi. Lucia è Lucia, non sono io. Io li immagino soltanto, magari lo faccio bene ma li immagino soltanto. Ogni personaggio è una sorta di ectoplasma, a me tocca dargli materia. Nel caso di Lucia, per esempio, ho cercato anche la pesantezza di un corpo rimasto fermo per 17 anni in un carcere. Ci trovo una notevole componente di bellezza in tutto questo. Ed è in questo che sta la bravura, non nel pronunciare le battute.

Lei immagina e costruisce il personaggio; e se la sua idea contrasta con quella del regista?
No, sono io a decidere. Il regista è l’autore delle riprese. Il personaggio lo vivo io, lo vesto io, lo sento io. Poi certo, se le idee sono proprio contrastanti se ne parla. Si trova un accordo. Se l’accordo non si trova, allora è meglio cambiare attore. E’ anche una questione di fiducia. Ma devo dire che non ho grandi problemi in tal senso. E comunque sono convinta che i cavalli di razza, a un certo punto, devono essere lasciati liberi.

Quando ha preso piena coscienza del suo talento?
Eh. Da Giovanna D’Arco in poi, direi (spettacolo teatrale che lei ha anche diretto, ndr). Sì, quel personaggio coincide con la prima, vera presa di coscienza.

Rispetto all’inizio della sua carriera c’è voluto diverso tempo, quindi.
Sì. Prima di allora ho cercato la mia strada. Ho sbandato più volte, anche. Ma credo sia giusto così. E’ stato necessario far trascorrere un po’ anni prima di raggiungere tutta la sicurezza necessaria per poter dire sempre la mia (sorride, ndr). Un altro momento importante è arrivato con Oriana Fallaci (nel 2011 Monica Guerritore ha realizzato e interpretato Mi chiedete di parlare, testo sulla celebre scrittrice e giornalista, ndr).

Quanto è difficile portare in scena la Fallaci?
Tanto. C’è un errore che si tende a fare dinanzi a figure di simile spessore: nel portarle in scena o sullo schermo, si cerca la verosimiglianza. Si tenta di imitarle. E non va bene. E’ la qualità che dev’essere simile, non l’aspetto. Per interpretare la Fallaci bisogna ritrovare la sua stessa follia, la creatività, la forza, i suoi 3 cancri. Non serve mettere la macchina da scrivere, non serve neppure la sigaretta in bocca. Servono gli occhi con dentro la morte. Come erano diventati i suoi. Io ho trascorso 8 mesi studiando, raccogliendo tutte le tracce nascoste che lei aveva lasciato. Ho guardato i fuori onda conservati dalla Rai. Ho puntato sulla negazione. Non mi sono focalizzata sull’icona. Ma su Oriana. Ho scoperto così tante cose. Il suo io non pubblico, una doppia figura, la donna che spesso era anche fragile e inerme, come fu dinanzi all’amore per François Pelou.

Lei è anche nel cast de La bella gente, film di Ivano De Matteo finalmente approdato nelle sale dopo una battaglia lunga sei anni. E il pubblico sta apprezzando al punto che hanno aumentato il numero delle sale. De Matteo non smette più di festeggiare…
E fa bene, festeggio anche io! La bella gente è stato un cruccio per anni. Un ottimo film che per anni non ha potuto vivere, che è rimasto bloccato per colpa della distribuzione e soprattutto dell’ignoranza. E’ una grande, grandissima vittoria.

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