Gianna Nannini l’ha detto e l’ha fatto: è arrivata al Lido, col suo inconfondibile look da guerriera moderna che se ne infischia dell’etichetta, per assistere alla proiezione in anteprima mondiale di Janis, documentario sulla vita e sulla carriera artistica di Janis Joplin, diretto dalla regista statunitense Amy Berg. Era piena di aspettative, la Gianna nazionale. E tutti hanno atteso con curiosità che uscisse dalla sale e dicesse la sua. Ebbene, l’opera è promossa: “Il film di Amy – ha detto a caldo la Nannini – è emozionante. Mi sono commossa, perché finalmente restituisce giustizia alla figura di Janis Joplin. La Joplin è stata fondamentale per il rock, la sua musica ha messo alcuni punti cardine della musica, grazie alla sua voce che era insieme bianca e nera. Lei è stata il simbolo della musica popolare americana, che poi si è trasformata in rock and roll di massa, e credo che oggi tutti debbano qualcosa a Janis Joplin. Penso che i film come questi siano il futuro del cinema“.
Un ottimo biglietto da visita per l’ingresso nelle sale italiane, che avverrà l’8 ottobre (distribuisce I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection) con l’obiettivo, come ha detto la stessa Nanni, di rappresentare una sorta di riscatto per la mitica Janis. Prima icona femminile nella storia del rock e punto di riferimento sia per la sua che per le generazioni successive, che tuttavia troppo volte è stata immeritatamente offuscata. La Berg ricostruisce la sua parabola artistica, ma anche quella umana. Tenta di mostrare la sua anima in ogni sfumatura, di rappresentare con immagini, suoni e parole tutta la forza che ha dovuto mettere in campo per realizzare il suo sogno.
Tante le fotografie d’epoca, che la mostrano bambina. Una bambina tutt’altro che felice. Una bambina goffa, con qualche chilo di troppo, spesso vittima della ferocia dei suoi coetanei. Con una valigia piena di complessi, peso continuo sulle spalle che tuttavia non l’ha mai piegata del tutto e anzi si è tramutato in “fame” costruttiva. I primi passi nel mondo della musica, il cammino condiviso con gli altri componenti della band Big Brother and the holding company, della Kozmic blues band e della Full Titt. I suoi familiari, la sorella Laura e il fratello Michael. La sua solitudine, inseparabile amica e invincibile dannazione. Il bisogno d’amore, messo nero su bianco nei testi di tante canzoni. Gli eccessi, il beat del peace & love, la droga senza misura, il desiderio di ripulirsi e l’incapacità di riuscirci. Ma anche il bello, il lato gioioso che affiorava all’improvviso come le sue risate, la libertà del suo spirito che nessuno ha potuto spezzare. L’overdose del 4 ottobre 1970, in quello squallido motel di Los Angeles, che ha messo fine alla sua vita e dato inizio alla leggenda. Un lavoro che vale la pena vedere. Che vale, come tutte le cose fatte col cuore.
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