#2YearsWithoutCory: questo l’hashtag che oggi, 13 luglio, sta rimbalzando in ogni angolo del mondo. Rendendolo proprio piccolo, il mondo. Perché sono tante, tantissime persone che si ritrovano vicine nel ricordare Cory Monteith. Già, oggi è il secondo anniversario della sua scomparsa. L’attore canadese, nato l’11 maggio 1982, è stato trovato morto il 13 luglio 2013 in una camera dell’hotel Fairmont Pacific Rim di Vancouver. L’autopsia, disposta per il 15, ha rivelato senza dubbi le cause del decesso: un mix fatale di eroina e alcol. Diventato celebre per il ruolo di Finn Hudson, Cory è sempre stato una persona molto sensibile ma altrettanto problematica. Il divorzio dei genitori, avvenuto quando lui aveva soltanto 7 anni, l’ha segnato in modo irrimediabile.
Ha cominciato presto a fumare erba e bere alcolici, ha cambiato ben dodici scuole seguendo ogni volta programmi ad hoc per ragazzi in difficoltà, poi ha mollato gli studi a 16 anni. Purtroppo le cose sono andate sempre peggio, è stato anche un susseguirsi di piccoli furti ai danni di parenti e amici per pagare le sue dipendenza. A 19 anni, anche grazie al sostegno della madre e di chi gli voleva bene davvero, ha deciso di andare in riabilitazione. Sembrava stesse risalendo la china. E poi, dopo una serie di lavoretti (fra l’altro ha fatto il muratore e il tassista), ha intrapreso la carriera di attore.
Il debutto risale al 2004, era la serie tv Stargate Atlantis; poi ne sono arrivate altre, di serie, fra cui Supernatural e Smallville. Qualche piccola parte anche al cinema e quindi la svolta, nel 2009, con l’ingaggio nel cast di Glee. Nel 2011 ha ufficializzato la relazione con la collega Lea Michele e sembrava che la sua presenza gli facesse un gran bene. Ha anche conseguito il diploma. Pensavano al futuro, ai figli, a una famiglia. Ma il “mostro”, in realtà, non aveva lasciato Cory. E così è arrivato quel maledetto 13 luglio: stando al rapporto della polizia, i primi soccorritori hanno trovato vicino al suo corpo “un cucchiaio con residui di droga, un ago ipodermico usato, due bottiglie di champagne vuote e diversi bicchieri“. Secondo l’esame tossicologico il suo tasso alcolemico era dello 0,13 per cento. Il medico legale, allora, ha ipotizzato che proprio il tentativo di disintossicarsi lo abbia – paradossalmente – fatto morire: “La sua soglia di tolleranza alle sostante tossiche doveva essere più bassa del solito perché si era sottoposto ad un periodo di disintossicazione nei mesi di marzo e aprile“.
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