New York sarà fatta di carta, Los Angeles sarà in legno. Non città vere, dunque, ma modellini. Minuscoli eppure vasti luoghi che si costruiscono e perdono pezzi a seconda dei vari stati d’animo. Miniature realizzate nel segno della poesia, di un passato rimesso a lucido con la tecnologia, di un gusto per la visionarietà e di una profonda stima nei confronti di Wes Anderson. In comune con lo stile del regista texano c’è anche l’utilizzo della stop motion, tecnica “antica” e parecchio impegnativa ma sempre di grande effetto, che contribuisce a creare atmosfere dall’impronta fiabesca. Davide Simon Mazzoli dice e non dice, di questo film. Promette godendosi l’alto suono della promessa (“Sarà fuori dagli schemi, cose mai viste finora in Italia…“). Si muove sapientemente fra la rivelazione e i puntini sospensivi, spiega alcuni passaggi con piglio serio e precisione, poi d’improvviso glissa e ridacchia. Mentre parla, arriva sul set. Ciak, si sta girando On air – Storia di un successo, tratto da Radiografia di un dj che non piace, biografia di Marco Mazzoli alla cui stesura ha contribuito lui stesso. Lui, Davide Simon, cresciuto a pane e fantasia (suo padre, come quello di Marco, lavorava per la Walt Disney), che crede in questa nuova creatura con una convinzione incrollabile. Che firma la sceneggiatura insieme a Ugo Chiti e produce con Daniele Gramiccia.
Ciak si gira, Marco Mazzoli interpreta se stesso, nel cast pure Chiara Francini, Giancarlo Gianni, Marco Marzocca, Paolo Noise, Leone di Lernia. E poi “tanti grandi nomi” che si sono lasciati catturare dal progetto e prendere dalla voglia di esserci, sia pur solo con un cameo. Chi sono? Niente, ancora non è dato saperlo. E la curiosità lievita: potere del reparto marketing. Ciak si gira, vietato aspettarsi una narrazione tradizionale e guai a pensare che gli ingredienti principali della ricetta saranno “pernacchie e scoreggia” solo perché c’è in ballo lo Zoo di 105. No, la carte in tavola disegnano un gioco ben diverso. E tutti sono invitati a sedersi intorno al tavolo: si alzeranno comunque vincitori.
Davide, partiamo dall’origine di tutto questo.
L’origine porta alla Rizzoli. Qualche tempo fa mi proposero di fare qualcosa sullo Zoo proprio insieme a Marco. Ho accettato, abbiamo accettato a patto di non dover confezionare un prodotto ordinario e avere invece carta bianca. Niente editing. Libertà assoluta. Quindi ci è venuta l’idea di raccontare la vita di Marco tramite l’entrata in scena di un ghostwriter incaricato di tracciare un suo ritratto inedito. Il ghostwriter è il mio alter ego, un personaggio solo, sfigato, fallito. E la vicenda si muove continuamente fra passato e presente con un obiettivo ben preciso: veicolare un messaggio sociale. Positivo, di speranza.
Il libro è andato alla grande.
Beh sì, per fortuna. Abbiamo venduto trentamila copie soltanto nella prima settimana, ci sono state 9 ristampe. Io e Marco siamo riusciti bene a fondere la nostre diverse caratteristiche, o meglio i diversi modi di trasmettere gli stessi concetti: io ho una vena maggiormente drammatica, lui è irriverente, portato verso una comicità più spiccata. La cosa più bella è che molta gente, dopo aver letto il libro, ha trovato un motivo in più per inseguire il proprio sogno. Tanti lettori ci hanno scritto. Tanti hanno mollato tutto e sono partiti per l’estero. Qualcuno ce l’ha fatta, qualcuno è invece tornato, qualcuno è rimasto fuori ma fa la stessa cosa che faceva qua. Tutti però ci ringraziano per lo stimolo che abbiamo dato, per la speranza che siamo riusciti ad accendere.
Poi il libro si è avviato lungo la strada del cinema.
Sì, ci è venuta la voglia di farne un film. E ci siamo mossi di conseguenza. Io ho contatti con Mediaset, da giovanissimo ho lavorato là, quindi ho fatto la proposta. Ma lo Zoo fa un po’ paura, si sa…
La soluzione l’hai trovata in America, dove attualmente vivi.
Esatto. In Florida ho incontrato Daniele Gramiccia, un ragazzo italiano allora impegnato nella produzione di una serie Disney. Sono andato a trovarlo per conoscerlo, congratularmi. Non pensavo potesse essere interessato al progetto e io stesso avevo in testa grandi produttori. Invece lui mi ha guardato e detto “Se vuoi te lo produco io!”. A quel punto ho risposto “Ok, lo produciamo insieme”. Da quel giorno ci siamo messi a lavorare duramente, anche perché il mercato del cinema è una lobby molto chiusa. Però non abbiamo mai smesso di crederci.
E siete stati premiati: il film è nel listino 2015-16 di Medusa.
Sì. Credo fermamente che Giampaolo Letta (l’amministratore delegato, ndr) sia uno dei pochi simboli dell’Italia che ancora dà speranza ai giovani e alle nuove idee.
Modellini, stop motion, grandi nomi: cos’altro puoi e vuoi anticipare?
Beh, innanzi tutto posso dire che il patto del team è quello di spingersi oltre e abbattere i limiti. Cercheremo di farlo in un modo decisamente diverso dal solito. Con uno stile registico americano, con uno story board composto da 2.220 frame, effetti speciali tutt’altro che classici, con l’uso dell’M15 al posto della steadycam e la costruzione di una sorta di viaggio nel tempo. Immagina una treccia, con personaggi che entrano ed escono, proprio come accade nella vita reale. Ed è questo il motivo dei numerosi camei.
Tanta sperimentazione, quindi. Il grande pubblico capirà?
Capirà chiunque, è proprio questo il bello. Anche perché ci basiamo su tre macro temi che accomunano tutti: il sogno, che è la chiave di tutto; la carriera e l’amore. Gran parte di questo film è dedicata alla simbologia, nel senso che saranno possibili letture a più livelli. Chi vorrà, leggerà semplicemente una storia d’intrattenimento. Chi sceglierà di scendere più nel profondo, invece, troverà altro. In ogni caso non verrà richiesto alcuno sforzo allo spettatore. Vogliamo anzi che provi piacere. Piacere per il cuore, per gli occhi, la pancia.
Non ci sarà allora “l’estremismo” tipico dello Zoo?
Sì, ci sarà. Ma il tutto sarà equilibrato. E tutto sarà basato su questo ragazzo normale, di talento, che ce l’ha fatta. Marco era un ragazzino problematico. Sembrava destinato quasi a un futuro in riformatorio. Non aveva destino. Ma in compenso aveva un sogno: fare il deejay. E pur di realizzarlo è riuscito a trasformare il suo limite più grande, ovvero l’istinto a buttarsi nelle cose senza senso di responsabilità, in un’arma vincente.
Viene raccontato anche il suo lato più malinconico.
La sua solitudine, sì. Ma capita spesso che i numeri uno siano anche soli. Così come capita che siano diversi da come la gente li immagina. Marco sa indossare perfettamente la sua maschera, è un personaggio, fa il pagliaccio. In realtà è una persona che ama stare in casa a fare i mestieri, per esempio. Adora la sua donna e ha occhi solo per lei. Non ha mai bevuto, non si è mai drogato, ha soltanto il vizio del fumo.
Se ce l’ha fatta lui, possono farcela tutti giusto? E’ questo che volete dire?
Assolutamente. E vogliamo far capire che c’è ancora spazio per tutti. Noi vediamo la giungla che c’è fuori, non abbiamo certo i prosciutti sugli occhi. Ma il vero, unico limite è il nostro stesso pensiero. Guardaci, siamo la dimostrazione: i grandi, alla fine, ci hanno ascoltato. Perché c’è sempre e sempre ci sarà bisogno di buone idee e talenti. Bisogna muoversi, però, perché nulla cade dal cielo.
Come sarà la risposta nelle sale cinematografiche, secondo te?
Buona, ne sono sicuro. Il nostro pubblico è fidelizzato, perché è davvero parte della produzione. Non è un pubblico distante da noi, non siamo divisi. Alcuni fan ci aiutano nella gestione della pagina Facebook del film, altri nell’organizzazione di eventi e iniziative. Questo è il film del pubblico. Il film di chi vuole condividere il sogno. Nelle prime scene, Marco si presenta e stringe a suo volta un patto col pubblico, dichiarando la finzione. E lì c’è una delle tante citazioni: I limoni di Eugenio Montale. E’ tutto reale, istintivo. E l’istintività permette sempre di creare magia con la gente. Perché ti sente vicino.
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