Paese bizzarro, l’Italia. O forse dovremmo dire che bizzarro è il mondo intero, non solo l’Italia. E ancor più bizzarro – nel senso amaro del termine – è l’animo umano. Questa Terra è la terra dei paradossi. Ieri, 22 giugno, si è saputo della morte di Laura Antonelli. Alle otto del mattino la badante l’ha trovata morta, è stata stroncata da un infarto. Ecco, ovviamente questa è diventata subito la notizia del giorno. E fin qui tutto normale, dopo tutto stiamo parlando di un’attrice che a cavallo degli anni Settanta e Ottanta ha raggiunto l’apice del successo e popolato l’immaginario collettivo con un mix di bellezza e sensualità difficile da raccontare tramite una penna o una tastiera. Ma il punto è un altro. Il punto è che da ieri fioriscono articoli e titoli altisonanti, densi di pathos e commozione. Rimbalzano foto della gloria che fu, accompagnate da lacrime virtuali e improvvisa, abbondante nostalgia. La definiscono una dea, una creatura speciale, una persona pura. Una diva. Una donna capace di far sognare gli italiani. Ripercorrono la carriera e la vita, una vita scandita da mille luci abbaglianti e poi da ombre cattive che non è mai riuscita a sconfiggere. Era sola, dicono. Lo dicono anche molti fra gli altri abitanti del mondo dello spettacolo. Le stesse persone che ne tessono le lodi. Le stesse persone che da anni, da secoli si erano dimenticate di lei. Se ne infischiavano. Fra loro, magari, ne parlavano con compassione e finta, inutile pietà.
Tanti avrebbero potuto fare qualcosa, pochissimi ci hanno provato. E così della “dea” Laura non era rimasto più nulla. Tutto spazzato via dalla droga, dalla depressione, dalla perdita di quella bellezza che forse non ha mai saputo gestire e alla cui scomparsa, tuttavia, non s’era mai rassegnata. Gonfia, i lineamenti alterati, i seni caduti, la pelle non più di porcellana ma incartapecorita. Gli occhi orfani di quella malizia con cui aveva sedotto tutti, ridotti a due laghetti opachi e tristi. I capelli di stoppa, malamente raccolti da un elastico. I passi incerti. La fobia per l’esterno: stava quasi sempre chiusa in casa, avvicinarla risultava difficilissimo. Non perché non volesse, la sua sete d’amore probabilmente non s’è mai placata e anzi l’ha fagocitata. No, con ogni probabilità la Antonelli aveva paura. Di essere usata ancora, ingannata ancora, svuotata ancora. Beh, non le è stato difficile rinchiudersi nel guscio. Nessuno ha mai provato veramente a tirarla fuori.
E adesso tutti la piangono e rimpiangono, adesso tutti (o quasi) mettono nero su bianco descrizioni commuoventi e singhiozzanti. Che sembrano, nella maggior parte dei casi, soltanto esercizi di stile ed simboli della retorica più banale. Non poteva andarsene in modo più triste, Laura. Beffata fino alla fine.
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