“Realismo” è una delle parole che, da sempre, accompagnano il cinema. Al di là della corrente artistica, discorso lungo e complesso, in gran parte dei film il realismo è la caratteristica che permette di conquistare sia il pubblico che la critica. E’ la conditio sine qua non per il consenso, dunque. Che si tratti di pellicole drammatiche, di commedie, anche di opere comiche. Lo spettatore vuole rispecchiarsi e immedesimarsi in ciò che gli scorre davanti gli occhi, nelle storie raccontate. Più ci riesce, meglio è. E dev’essere partita da tali presupposti Micaela Ramazzotti quando ha deciso di partorire sul set. O meglio: quando ha deciso di tramutare in un set la sala parto.
Micaela è fra i protagonisti de Il nome del figlio, prima commedia di Francesca Archibugi (qua la recensione) nelle sale dal 22 gennaio; interpreta Simona, moglie di Paolo che ha le sembianze di Alessandro Gassman. Simona arriva dalla borgata e ha conquistato una certa notorietà scrivendo un libro hot. E’ incinta. E anche Micaela, nel periodo delle riprese, era incinta. Aspettava il secondo figlio dal marito nonché regista Paolo Virzì. Realismo.
“Quando mi hanno proposto il film – ha raccontato durante un’intervista al settimanale Visto – ero incinta, ma volevo tornare a lavorare con lei (la Archibug, ndr) perché è una persona importante nella mia vita. Così, quando mi ha chiesto se me la sentivo di far entrare le telecamere in sala parto ho subito accettato. Quando mi capitava di rivedere il mio parto? Mi sono completamente dimenticata del film, ero sedata, ma quando Anna è nata ce l’ho anche fatta a dire la battuta ‘E’ femmina?’“.
La Archibugi è entrata in sala parto e ha girato da sola: “Riprendeva – ha aggiunto Micaela – e intanto piangeva per la commozione“. Ricordi che resteranno indelebili, e non solo grazie alla macchina da presa…
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