Un piccolo vuoto di memoria. Può capitare a tutti, complice lo stress e la frenesia della vita quotidiana. E’ per questo che Alice Howland, insegnante di linguistica alla Columbia University di New York, non si preoccupa quando la sua mente si tinge brevemente di nero durante una conferenza all’Ucla. Alice ha quasi cinquant’anni, è una donna e una professionista appagata, ha tre figli adorabili e un marito affettuoso. Tutto va bene. Un vuoto di memoria? Che cosa volete che sia. Solo che dopo un po’, facendo jogging, accade qualcos’altro. Alice prova un forte senso di smarrimento, pur trovandosi in una zona che conosce bene. Comincia ad allarmarsi, teme che sia una tumore al cervello e invece no: è una forma di Alzheimer precoce. E’ una discesa inarrestabile, una strenua lotta, è la cancellazione graduale dei ricordi e quindi anche dell’identità. E’ Still Alice, il nuovo film di Richard Glatzer e Wash Westmoreland che arriva nelle sale italiane domani, 22 gennaio. La pellicola con cui la protagonista Julianne Moore ha conquistato la nomination come Miglior attrice agli Oscar (e le probabilità che conquisti la preziosa statuetta sono alte). Nel cast anche Alec Baldwin, Kristen Stewart e Kate Bosworth.
Un’opera cruda, forte, un pugno allo stomaco. Hollywood si misura con una fra le malattie più cattive. Alice è la madre costretta a piegarsi, il punto di riferimento che traballa, il meccanismo che s’inceppa mettendo in crisi il resto della famiglia; è la donna, d’altra parte, decisa a combattere fino in fondo. Nonostante la consapevolezza di aver davanti un nemico fin troppo potente. E c’è una differenza sostanziale rispetto agli altri film che finora hanno trattato tematiche simili: questa volta il cammino dentro il tunnel non viene restituito attraverso gli sguardi di chi circonda la vittima, ma della vittima stessa. Di conseguenza lo spettatore ha i suoi occhi, la sua pelle, la sua anima. E di conseguenza l’impatto è più incisivo, coinvolgente. Doloroso, anche.
Al personaggio principale è stata dunque affidata una responsabilità enorme. Enorme, per questo, era il rischio di fare un flop colossale. Invece la scelta della Moore è stata un’illuminazione. Perché lei fa tutto quello che deve fare. E benissimo. Ha superato se stessa, il che è tutto dire. Il film è lei. Con il suo terrore e il suo enorme coraggio, con la faccia pallida e i guizzi di grande vita nelle pupille. Gli equilibri sono ottimi, non si scivola mai nell’eccesso, non si cerca la compassione ma soltanto l’attenzione. Ottenendola.
Al suo fianco la Moore ha dei colleghi che sono all’altezza della situazione: Baldwin è il marito che la ama ma che ama anche il lavoro; Kristen Stewart è la figlia ribelle che improvvisamente sa cambiare marcia e diventare presenza decisiva. Da non perdere.
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