Mettiamo subito in chiaro una questione determinante: American Sniper (nelle sale italiane dal primo gennaio) non è soltanto il nuovo film di Clint Eastwood, questo è anche – soprattutto, forse – un film americano di propaganda. Un film che racconta la storia del Navy SEAL Chris Kyle, interpretato dal sempre bravo Bradley Cooper, passato alla storia come il cecchino più temibile d’America. Se i calcoli sono giusti, Kyle uccise da lunga distanza circa 255 persone; divenne una leggenda in Iraq e laggiù misero una taglia di 200.000 dollari sulla sua testa. Ecco, Eastwood lo descrive come un eroe. Come un uomo che dev’essere giustificato, assolto e celebrato. Se questa versione può essere gradita e accettata, allora bene. Altrimenti, meglio evitare di andare al cinema perché ci sarebbe il rischio di uscirne infastiditi se non arrabbiati.
AMERICAN SNIPER, IL TRAILER ITALIANO: GUARDA
La ricostruzione dei fatti si basa sul libro autobiografico American Sniper: The Autobiography of the Most Lethal Sniper in U.S. Military History; doveroso ricordare che Kyle riuscì a sopravvivere a quasi mille giorni di guerra e poi fu ucciso nel febbraio 2013 vicino casa sua, in un poligono di tiro, dall’ex marine 25enne Eddie Routh che soffriva di Ptsd, disturbo post-traumatico da stress molto diffuso fra i veterani di guerra.
La regia di American Sniper, sulle prime, era stata affidata a Steven Spielberg. Poi, per un percorso non del tutto chiaro, è passata a Eastwood. Che ama cimentarsi, si sa, con tematiche così crude e delicate. E che è un repubblicano doc. Forse si pensava che il suo tocco avrebbe consentito di evitare eccessi di patriottismo, ma così non è stato. La sceneggiatura è quella che è, la regia ne fa le spese. Ed ecco, allora, la netta divisione fra buoni e cattivi, fra bene e male. Il bene e i buoni, naturalmente, hanno il volto dell’America. I cattivi sono i terroristi, gli stranieri, i seguaci di Al-Qaida che meriterebbero soltanto di scomparire dalla faccia della Terra. E i buoni, dunque, sono autorizzati a compiere massacri nel nome del bene.
In altre parole, gli estimatori di Eastwood stavolta rischiano di restare delusi. Il suo tocco, per i motivi sopra elencati, risulta appannato. E come aggravante, il doppiaggio italiano non è dei più brillanti. Non che sia un film brutto, per carità. Siamo lontani dalla bocciatura. Ma anche dalla promozione a pieni voti. Il punto di forza, comunque, è quell’umanità di fondo che si legge negli occhi del protagonista. O forse sarebbe più esatto dire un desiderio di umanità, che purtroppo non può tradursi in fatti reali. Sono le immagini della famiglia, l’istinto di tornare a casa e pulirsi l’anima da tutto quell’orrore, lo sguardo che si fa tormentato ogni volta che c’è da premere il grilletto. Avrebbe potuto essere un capolavoro.
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