Paolo Pierobon: “De Silva è cattivo, ma è anche un uomo molto solo”

Paolo Pierobon sorride. Sorride spesso. Lì per lì si rischia di restare spiazzati, perché a furia di vederlo nei panni di Filippo De Silva, il cattivo più cattivo di Squadra antimafia, la mente ha assimilato l’immagine di un uomo freddo, spietato, disperato, serio. Ma l’uomo e il suo personaggio non hanno nulla in comune e questo sarebbe bene non dimenticarlo mai. De Silva è De Silva, uno fra i protagonisti dell’amata fiction targata Taodue. Pierobon è Pierobon, professione attore (di lunghissimo corso). E allora ecco che quel sorriso, dopo un po’, è come se ci fosse sempre stato. Diventa la componente naturale e bella di una faccia in cui spiccano soprattutto gli occhi. Occhi che sembrano un bosco, miscuglio di verde e di oro, di vita e pensieri, di battaglie vinte o perse, ma comunque combattute fino in fondo. Paolo Pierobon, nato a Castelfranco Veneto e cresciuto – fino all’età di sei anni, e i primi sei anni sono fondamentali per la definizione delle personalità, come lui stesso sottolinea – in Basilicata. Ora vive alle porte di Milano, il suo accento rivela quei luoghi, le sue parole e i gesti hanno orizzonti infinitamente più vasti.

La popolarità è arrivata grazie alla televisione, certo. Ma l’amore per la recitazione è esploso all’inizio degli anni Novanta. Pierobon si è diplomato alla Civica scuola d’arte drammatica Paolo Grassi e da allora non ha mai smesso di calcare le scene, di indossare maschere, di rubare anime e mandare opere a memoria. Di fare prove, fare tardi, fare tutto. Tutto, senza riserve, con i primi tempi che era difficile persino mettere insieme il pranzo e la cena, ma il fuoco brucia, eccome se brucia, di spegnersi proprio non se ne parla. Anzi, si fa sempre più forte. Il teatro è e rimane l’attività principale per Pierobon. Ci sono state incursioni nel grande e piccolo schermo, poi nel 2010 sulla sua strada è apparso De Silva, agente dei servizi segreti corrotto e disperato. Presente in tutte le stagione eccetto la quinta, qualche giorno fa (l’ultima puntata della sesta stagione è andata in onda il 10 novembre) in teoria ha deciso di saltare in aria sibilando un “io muoio solo mi ammazzo io”. Ma ha più vite di un gatto, ormai questo è chiaro. E ha improvvisamente cambiato idea. Allora, signori e signore, in realtà – o meglio, in questa ipnotica finzione – De Silva è ancora vivo e vegeto. Un po’ acciaccato, forse, perché comunque quella bomba gli è scoppiata a poco metri. Però si rimetterà in forma. Pronto per affrontare la settima stagione, le cui riprese sono ancora in corso.

… Ma come fa De Silvia a cavarsela sempre e “resuscitare” comunque?
Potrei dirti che finora non è mai stato mostrato il suo cadavere. E l’importante, nelle serie televisive, è proprio che il cadavere non si veda. Ai tempi della botola nessuno l’aveva visto morire, no? Potrei dirti anche che è arrivata una telefonata in cui mi hanno detto “Vuoi tornare a fare De Silva?? (sorride, ndr)”. In quest’ultima serie, invece, sicuramente si è buttato fuori dall’auto prima che questa saltasse in aria.

Ma era finito nel cassettone in attesa dell’autopsia.
Sì, ma ci sono di mezzo tanti fattori. Per esempio c’è Crisalide: e se lo stesso medico legale fosse colluso? Comunque non resta che aspettare: ci spiegheranno presto cos’è successo…

Ti piace come si è evoluto il tuo personaggio nel tempo?
Più che di evoluzione, che suggerisce un’idea di verticalità, parlerei di espansione su più superficie: io, almeno, ho sempre cercato di renderlo sempre diverso.

Hai la possibilità di dire la tua per quanto riguarda la sceneggiatura?
Ci si parla, certo. Prima che si definiscano le battute e gli eventi dei singoli episodi. Si trovano spunti insieme; una voce importante è anche quella della produzione, ovviamente. Lavoriamo da così tanto tempo insieme che ormai viene facile trovare il modo per arricchire. E’ molto importante con chi si lavora. E a questo punto voglio fare i nomi dei registi che ho apprezzato e apprezzo moltissimo: Beniamino Catena, Giacomo Martelli, Christophe Tassin e Samad Zarmandili (gli ultimi due sono i registi attuali, ndr).

Non hai il timore che anche a Squadra antimafia succeda ciò che è successo ad altre fiction portate avanti troppo a lungo, cioè che perda utenza?
Io credo che il numero perfetto sia 6-7. Ce lo insegnano anche gli americani, che in queste cose sono parecchio bravi. D’altra parte, però, il timore cui ti riferisci è attenuato dall’unicità di Squadra. E’ naif, allo stesso tempo è una sorta di fumetto, è improbabile ma non sempre. E’ un ibrido fra diversi generi: un momento è melò, il momento dopo è action, il momento dopo ancora arrivano le battute sarcastiche. Poi non mancano i difetti, come in tutte le cose. Ma ritengo che questa traccia insolita sia la carta vincente. Oltre alla particolarità della troupe sia artistica che tecnica…

De Silva è cattivo. Ma non è un cattivo che si compiace dei suoi crimini e delle sue malefatte. Spesso sempre che soffra.
E’ vero. Ed è cambiato sempre. Nella seconda stagione era un uomo delle istituzioni, terribile, antipatico, deviato. Nella terza stagione si è unito a una banda armata ed è diventato un delinquente a cielo aperto. Un cane sciolto. Nella quarta era malato seriamente, da ogni punto di vista. E’ bipolare, anche. Simpatico e odioso nello spazio di poco tempo. In tutti i casi, però, si avverte la sua vulnerabilità di fondo. La sua disperazione. E forse è proprio questo che lo rende empatico e crea un corto circuito col pubblico. Pur nel suo delirio, nelle sue nevrosi, De Silva è un uomo solo. E spesso è solo anche chi lo guarda attraverso la tv. Tutti sanno cosa sia la solitudine e De Silva, in questo senso, è particolarmente “umano”.

Non ama nessuno.
Già. Qualcuno lassù ha deciso che non debba avere una donna (alza gli occhi al cielo e ride, ndr)! In passato si è intuito una sua relazione ormai chiusa con un’infermiera, ma è finita là. Con un lieve bacio.

Pare sia abbastanza indifferente anche al sesso.
Ma no, dai! Non del tutto almeno. Nell’ultima puntata di questa stagione è entrato in un bordello e si sono viste anche diverse donne stese sul letto. Sembrava anche un habituè del posto, direi…

Qual è la scena che più ti ha colpito nella sesta stagione?
Tutta la fase di Sandro Pietrangeli infiltrato in carcere, con un grandissimo Giordano De Plano (leggi l’intervista di Velvet cinema).

La tua vita è cambiata molto da quando fai Squadra antimafia?
No. Il teatro continua a essere la mia attività principale, dal 2008 recito con Ronconi e il Piccolo di Milano. Con Squadra sono impegnato per circa 3-4 mesi all’anno… No, non ci sono state rivoluzioni.

Il giorno successivo all’ultima puntata di Squadra eri nei trend topic di Twitter.
… Devo gioire?

Questa è una risposta cinica alla De Silva?
No, non sono cinico! Piuttosto indifferente alla virtualità, ecco. Non sono né su Twitter e neppure su Facebook, questi mondi non esercitano su di me particolare attrazione. La tv di per sé porta visibilità, si sta molto tempo davanti a una telecamere, nei momenti di pausa si fanno foto con le persone… Non sento la necessità di frequentare anche i social media.

Ma i social media sono anche una cartina di tornasole, un modo per conoscere le opinioni del pubblico.
Sì, ma non posso essere considerati un termometro fedele e non ci si può far condizionare dai vari commenti, positivi o negativi che siano. So che sono nati dei gruppi spontanei dedicati a me e a De Silva e ne sono molto contento, sia chiaro. Ma preferisco che si gestiscano da soli. Mi piace che internet resti uno strumento libero, in questo senso.

Sembra quasi che la popolarità ti sia indifferente.
La popolarità fa piacere e sarebbe ipocrita negarlo. Però vedi, credo che ci sia una differenza fra “merito” e “fama”: la tv ti dà una popolarità fulminea, arrivi sul set e sei coccolato, circondato di attenzioni, su Facebook – appunto – nascono le pagine piene di fan; è facile che tutto questo non venga gestito bene, che si perda la testa magari dopo un’unica serie e poche scene. Quanto a me, ho vent’anni di teatro alle spalle e, sebbene apprezzi questo successo, di certo sarei andato avanti anche senza. Ci sono persone che a 25 anni assumono anche atteggiamenti da divo, sono tutti più “rilassati”; io a 25 anni facevo spettacoli nei bar e mi cambiavo nei cessi, non mi fermavo mai, dovevo campare. Percorsi diversi che inevitabilmente condizionano.

Prima di essere ingaggiato per Squadra antimafia guardavi le fiction?
Ho passato moltissime sere della mia vita lavorando. A teatro, appunto. Per cui mi era e mi è praticamente impossibile essere davanti alla tv in prima serata. Ci arrivo alle 3 di notte davanti alla tv. E mi vedo le repliche di Uomini e Donne. Oppure le televendite di tappeti. Mangiando una zuppetta (sorriso di cui non fidarsi completamente, ndr…).

Insomma il tuo grande amore resta il teatro.
Il mio grande amore resta la recitazione. Poi succeda quel che deve succedere…

Sei soddisfatto di quanto hai fatto finora?
Sì. Tutto sommato sì.

Torneresti a cambiarti nei cessi dei bar?
Non ci sono dubbi.

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