Ermanno Olmi è ancora ricoverato in ospedale. Per fortuna le sue condizioni di salute stanno migliorando, sia pur gradualmente. E intanto il suo nuovo film, Torneranno i prati, continua il suo percorso: ieri, 4 novembre, nell’anniversario dell’armistizio che mise fine alla Grande Guerra c’è stata l’anteprima in quasi 100 Paesi, anche presso ambasciate e consolati e a Roma, al cospetto del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano; il 6 novembre la pellicola arriverà finalmente nelle sale cinematografiche e sono in molti a ritenere (giustamente) imperdibile quest’appuntamento. L’83enne regista non ha partecipato fisicamente alla presentazione ma ha realizzato un videomessaggio: “Mi avete sempre chiesto – dice, fra l’altro – ‘perché ha fatto questo film?’. Stavolta non l’ho fatto per un innamoramento, bensì su proposta (di Cecilia Valmarana, produttrice Rai Cinema, ndr), ma il mio pensiero è andato subito a mio padre, che mi raccontava la sua vita da soldato”.
TORNERANNO I PRATI: TRAILER UFFICIALE
All’epoca dei racconti era un ragazzino, ma col tempo li ha elaborati sia con l’anima che con la mente, arrivando a capire quanto possa essere stato doloroso “il grande tradimento compiuto nei confronti di milioni di giovani e civili morti in quella guerra senza che sapessero perché“. E allora ecco un lungo quanto virtuale passo indietro, ecco Caporetto nel 1917, ecco l’avamposto italiano incaricato di trovare un altro posizionamento per spiare la trincea dei nemici: l’ordine arriva dal maggiore che la faccia di Claudio Santamaria e si traduce in un massacro. Un massacro su cui Olmi punta i riflettori senza riserve, giustificazioni, assoluzioni. Il suo intento è quello di urlare la verità, colpire lo spettatore con la ferocia della guerra e con le immagini – fin troppo veritiere – dell’enorme sofferenza dei soldati. Soldati abbandonati fra le nevi, tormentati dalla febbre eppure in prima linea nel nome di un amor patrio tradito: “Nei nostri sogni – dice uno di loro – non c’era la morte“. “Quando sentono l’odore del sangue – fa eco un altro – le bestie cagano e pisciano prima di andare al macello.. siamo bestie anche noi?“.
E’ un film duro quanto necessario, quello di Olmi. Girato a 1.100 e 1.800 metri d’altezza, in un freddo e gelo autentici e non riprodotti: notevole dev’essere stato lo sforzo anche fisico della troupe, sia quella artistica che quella tecnica. Un lavoro grande in tutti i sensi. In cui la natura diventa protagonista implacabile e spettatrice impotente. Olmi, all’inizio, aveva in mente la realizzazione di un “racconto non realistico ma evocativo, sebbene questi fatti siano realmente accaduti“. L’obiettivo è stato raggiunto e Santamaria definisce il regista “un illuminato, lavorare con lui è come farlo con il Dalai Lama“. E’ un film duro, sì. Fa anche piangere. Ma adesso il nostro cinema è ancora più ricco.
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