I fan di Hayao Miyazaki sono amareggiati e felici allo stesso tempo. Amareggiati perché il maestro dell’animazione ha deciso di ritirarsi, anche se ancora avrebbero potuto dare, dire e fare moltissimo. Ma lui vuole la libertà, ha spiegato. E vuole fare altre cose. D’altra parte, i suoi estimatori sono felici perché il film dell’addio, Si alza il vento, è davvero un grande titolo. Non un capolavoro come La principessa Mononoke o Il mio vicino Totoro, certo, ma senza dubbio un’opera che sa emozionare e spremere il cuore.
Distribuito dalla Lucky Red e presentato alla Mostra del cinema di Venezia 2013, Si alza il vento è arrivato nelle sale ieri – 13 settembre – e ci resterà soltanto fino al 16. Racconta la vita e il travagliato amore di Jiro-Horikoshi, ingegnere aerospaziale. Sono gli anni della seconda guerra mondiale e l’ispirazione arriva da un uomo realmente esistito: Horikoshi fu infatti il progettista del Mitsubishi A6m, l’aereo da guerra utilizzato dai giapponesi per attaccare e distruggere la flotta statunitense a Pearl Harbor.
“E’ la storia – ha spiegato lo stesso Miyazaki – di un individuo dedito al suo lavoro, che ha perseguito tenacemente il suo sogno. I sogni contengono un elemento di pazzia, e questo aspetto velenoso non può essere nascosto. Desiderare ardentemente qualcosa di troppo bello può distruggere. Jiro sarà distrutto e sconfitto, la sua carriera di progettista interrotta, ma resta un uomo di grande originalità con un talento non comune“.
Il racconto prende il via dall’infanzia di Jiro, che desidera moltissimo diventare pilota ma è ostacolato dalla sua miopia. Una notte, in sogno gli appare il Conte Giovanni Battista Caproni, pioniere dell’aeronautica italiana, suggerendogli di dedicarsi – appunto – all’ingegneria aeronautica. Il ragazzino ce la mette tutta per acquisire tutte le conoscenze necessarie e, terminati gli studi, comincia a lavorare Nagoya presso la Mitsubishi specializzandosi in arei militari. La sua carriera procede fra successi e qualche fallimento, il suo mestiere è tutto fino a quando avviene l’incontro con Naoko, dolce fanciulla affetta da tubercolosi.
Senza il vento può essere considerato a tutti gli effetti un testamento artistico: Miyazaki si allontana un po’ dal suo stile per dar forma a una vicenda che contiene molti elementi drammatici e nessun sapore fiabesco. Domina la realtà e si possono chiaramente individuare citazioni ad altre sue pellicole fra cui Porco rosso; e la realtà a sua volta diviene metafora di quella voglia di elevarsi e riscattarsi che anima alcuni esseri umani ma troppo spesso muore dinanzi all’inciviltà e alla violenza. L’amore, d’altro canto, è forza ma anche debolezza se non riesce a spiccare il volo. E la passione per il volo è, in fondo, la vera arma per andare avanti.
Lo Studio Ghibli, qui, ha raggiunto praticamente la perfezione per quanto riguarda i disegni e le animazioni: i personaggi prendono vita in modo quasi impressionante e i dettagli sono curati senza ombra di sbavature. Nonostante la durata superi le due ore, il fantasma della noia è tenuto sempre a bada dall’eleganza e dall’intensità che coinvolgono lo spettatore fino all’ultimissima scena. Poi, i titoli di coda. E quest’addio che sarà difficile da accettare.