Il pubblico attende con curiosità l’arrivo nelle sale di Pasolini, il film diretto da Abel Ferrara che ricostruisce – fra realtà e rilettura personale della realtà – l’ultimo giorno del controverso poeta, cineasta e scrittore (ucciso nella notte fra l’uno e il due novembre 1975). L’accoglienza alla Mostra del cinema di Venezia, però, è stato un po’ tiepida. Soltanto timidi applausi per questa pellicola che vede Willem Dafoe nei panni del protagonista, Riccardo Scamarcio in quelli di Ninetto Davoli e Valerio Mastandrea nel ruolo del cugino e biografo Nico Naldini. Il cast è completato da Maria de Medeiros alias Laura Betti e Giada Colagrande ovvero la cugina del poeta Graziella Chiarcossi, che prima di sposarsi con Vincenzo Cerami viveva con lui e con la madre (che ha invece le sembianze di Adriana Asti).
PASOLINI DI ABEL FERRARA, IL PRIMO TRAILER
Ferrara firma anche la sceneggiatura insieme a Maurizio Braucci, il montaggio è di Fabio Nunziata, si tratta di una co-produzione Francia-Belgio-Italia e sulla qualità non si discute. Così come non si discute sulla passione che sta alla base di quest’opera: il regista ce l’ha messa tutta per proporre allo spettatore una sorta di viaggio alla scoperta dell’uomo e dell’artista, al di là dei fronzoli e delle leggende, “anche nello spazio intellettuale che ha occupato, nei film che avrebbe fatto in futuro“. Ma qualcosa non ha funzionato e la reazione a Venezia lo dimostra con chiarezza. Cosa ci si aspettava? Più movimento, forse? Più intrigo, più coraggio?
“Io sono cresciuto – ha detto Ferrara – guardando i film di Pasolini e lui è cresciuto senza guardare i miei film. Io sono un buddista che tende a meditare sui propri maestri. Ho sentito molto il suo lavoro e mi sono permesso di avvicinarmi a lui“. E ancora: “Ho letto moltissimo i suoi libri e studiato le sue teorie, ma quando incontri le persone che lo hanno conosciuto e hanno lavorato con lui, è tutto diverso. Capisci quanto era amato e come era gentile anche con i più umili. Sul set poi era tutto quello che io avrei voluto essere“. E comunque occorre sottolinearlo: l’ultima parola va al pubblico. Al botteghino.
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