Dopo una lunga gavetta costruita fra teatro e tv, cambiando vesti e faccia più volte, Gabriele Pignotta è pronto a debuttare sul grande schermo: domani, 17 aprile, esce il suo primo film Ti sposo ma non troppo. Prodotto da Marco Belardi per Lotus Production con Rai Cinema, sarà distribuito da Teodora Film in 150 copie e lo stesso Pignotta è co-protagonista insieme a una dolcissima Vanessa Incontrada. Ruoli importanti per lo sviluppo della vicenda sono quelli di Chiara Francini e Fabio Avaro.
E’ la trasposizione di uno spettacolo che Pignotta ha scritto e portato in scena con grandi consensi da parte sia del pubblico che della critica. Lui interpreta Luca, fisioterapista votato alla singletudine dopo un abbandono improvviso da parte della fidanzata ma in segreto ancora convinto di poter trovare l’amore vero. La Incontrada è invece Andrea, romantica e idealista fanciulla che è stata mollata sull’altare e dunque fa una certa fatica a smaltire il trauma (la sola parola “matrimonio” le fa perdere i sensi e scatena attacchi di panico). Andrea decide di rivolgersi a uno psicologo per uscire dal tunnel e riprendersi se stessa, ma lo psicologo è volato in quel di Cuba per questioni sentimentali e ha lasciato la sua casa proprio a Luca. Il quale, ritrovandosi davanti quella creatura con le sembianze di Vanessa, decide di mentirle e di rubare l’identità al Dottore. Obiettivo? Conquistarla. Senza pensare troppo alle eventuali conseguenze derivanti da tale inganno. Le vite di Luca e Andrea s’intrecciano, un po’ volutamente e un po’ per caso, con quelle dei promessi sposi in crisi Francini-Avaro. Così sarà un susseguirsi di equivoci – e qui si vedono tracce di spirito tetrale – sospiri, parole dette e parole non dette, azioni, propositi, idee. La location vera è Roma, quella virtuale sono i social network con le loro piazze gremite di tentazioni. E poi il romanticismo. Che può diventare anche un semplice panino con la mortadella…
Gabriele, mancano poche ore all’uscita del tuo primo film: come ti senti?
Sono sensazioni strane. Da un lato sento la necessità di vivere questo momento in isolamento perché sono un po’ frastornato. Ho bisogno di raccogliermi, anche per capire che valore dare a tutto ciò, all’esito del film. Devo dire che finora ho percepito un’energia buona intorno a me, ma è anche vero che arriva da persone che mi conoscono. D’altra parte, i risultati non positivi di alcuni ottimi e recenti film… Beh, un po’ mi spaventano.
Ci sono altre recenti opere prime, però, che sono andate molto bene.
E’ vero. Ed essere tra la rivelazione dell’anno e il rischio di passare in sordina un po’ mi destabilizza. Da un altro lato ancora, invece, cerco di godermi questi momenti perché li ho sempre sognati. Girare un film, vederlo prendere forma giorno dopo giorno, vedere il trailer e la locandina, arrivare nelle sale: è il mio obiettivo di sempre.
Hai qualche rimprovero da farti?
Direi di no. Sono arrivato ludico sul set, ho intuito cosa mi sarebbe successo e gestito con serenità sia il tempo che le poche risorse a disposizione. Ho sfruttato tutto al massimo, ho dato tutto me stesso in ogni fase della lavorazione. Nella post produzione ammetto che sono stato maniacale, ma i risultati mi soddisfano. Mi piace il trailer e mi piace molto anche la locandina, perché fa capire subito di cosa si tratta: di una commedia. Non d’autore, ma nemmeno di Vanzina. Una commedia fatta per la gente semplice.
Non ha mai avuto dubbi, ripensamenti, insicurezze?
Ero un po’ scettico circa la scelta di fare una commedia che non avesse un concept “devastante”, ma poi ha avuto ragione Marco (Belardi, ndr): questo film, con la sua semplicità e il suo garbo, esercita quasi un effetto rassicurante sugli spettatori. La gente si riconosce nel racconto e nei personaggi.
Sintetizza il messaggio contenuto nel film.
Non c’è un messaggio. Non intendevo mandarne uno, ma soltanto raccontare una storia per intrattenere e divertire. Mostrare il romanticismo e l’eleganza con cui può avvenire lo scambio fra un uomo e una donna; raccontare un legame che diventa intenso senza metterci di mezzo scopate pazzesche ma puntando piuttosto sulla leggerezza, sullo scambio di carezze. Il rapporto fra Luca e Andrea non è smielato e neppure fortemente passionale, ma credo che risulti coinvolgente lo stesso. C’è una scena in cui di dividono un panino con la mortadella seduti su una panchina, e così capiscono che si stanno innamorando. Ecco, il romanticismo può essere anche un panino con la mortadella.
Quanto c’è di autobiografico?
Tutto, nel senso che ho messo ciò che vissuto sia direttamente che indirettamente, ciò che ho ascoltato e visto. Alcune cose sono capitate a me, altre le ho viste capitare…
Cosa farai domani?
Sarò di ritorno a Roma da Milano. Sarò ancora in giro per la promozione.
Qual è il target cui ti rivolgi?
Ti rispondo con fierezza: non c’è un target preciso, questo film è per tutti. L’unica eccezione potrebbe essere rappresentata dagli intellettuali, i cinefili più snob, i critici che hanno soltanto un approccio culturale ai film e dunque in qualche modo disdegnano la semplicità. Per il resto, chiunque può trovare posto in sale: dalla ragazzina di 16 anni alla signora di 60.
Foto Mario Cartelli/LaPresse
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