Da domani, 3 aprile, sarà nelle sale Ti ricordi di me?, secondo film diretto da Rolando Ravello e tratto da uno spettacolo scritto da Massimiliano Bruno. Spettacolo che ha saputo mettere d’accordo pubblico e critica, facendo il pieno di consensi e dando vita così all’idea di farne la trasposizione cinematografica. I protagonisti sono gli stessi che hanno calcato il palcoscenico: Edoardo Leo e Ambra Angiolini. E’ una commedia sentimentale dal sapore di fiaba, lui interpreta il cleptomane Roberto, scrittore di fiabe, e lei la maestra narcolettica Bea. S’incontrano davanti allo studio dello psicoanalista che li ha in cura entrambi e cominciano un vivace cammino che li conduce all’amore. Ma non necessariamente al lieto fine.
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Questa è la stagione della riscossa per la commedia italiana, soprattutto per quanto riguarda i debutti o comunque i primi passi lungo la strada della regia: basti pensare a Smetto quando voglio di Sydney Sibilia (leggi l’intervista di Velvet Cinema) e La mossa del pinguino di Claudio Amendola. Ecco, idealmente Ti ricordi di me? si colloca in quel filone. Sono pellicole leggere ma anche capaci di far riflettere, magari fra un sorriso e una risata. Pellicole che hanno come protagonisti giovani trentenni e/o quarantenni che navigano a vista nelle acque del mondo adulto ma vogliono continuare (per fortuna) a sognare, costi quel che costi.
Nel cast di Ti ricordi di me? c’è anche Paolo Calabresi, ottima spalla di Leo (tutti e due presenti nel cast di Smetto quando voglio), che fa coppia con Susy Laude; presente all’appello, sia pur in un ruolo minore, il sempre bravo Ennio Fantastichini. Scena dopo scena, impossibile non richiamare alla mente 50 volte il primo bacio, sebbene la differenze siano tante. Leo e Ambra rendono bene nei loro ruoli, le battute e le facce sono azzeccate, l’atmosfera è godibile e la chiusura imprevedibile.
Certo, non è la perfezione assoluta e non è il film dell’anno. Non manca qualche momento di stasi, che tuttavia passa senza turbare troppo gli equilibri e senza suscitare l’insofferenza dello spettatore. “Abbiamo lavorato tantissimo, ossessivamente – ha spiegato Ravello – sul piccolo, anziché sul grande, sul lato emotivo piuttosto che sul lato della commedia facile“. E l’obiettivo è stato raggiunto quasi completamente; forse ci sono alcuni vuoti che un po’ destabilizzano, di certo la virata verso un altro genere – che sopraggiunge nelle ultime scene – avrebbe potuto essere più d’impatto. Ma nel complesso la promessa è mantenuta: la commedia e la favola camminano a braccetto e chi osserva stacca la spina rispetto a tutto il resto. Tornando a casa con la mente sgombra.
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