La vita e la morte di Moana Pozzi resteranno per sempre avvolti nel mistero. Non ci sono più dubbi. O meglio, di dubbi ce ne sono sempre troppi. Tempo di fare un passo verso la “luce”, tempo di trovare un tassello del puzzle, ed ecco che si chiudono pesantemente tutte le porte. Lasciando fuori soltanto una manciata di punti interrogativi. Si parla da tanto tempo del suo ultimo film, girato nel febbraio del 1994 e finora mai visto. E’ stato finalmente ritrovato nel magazzino di un cinema di Brescia che apparteneva a Nicolino Matera, ovvero l’impresario detentore dei diritti su tutti i film della celebre pornodiva.
La pellicola, visionata in esclusiva dal programma Mediaset Lucignolo 2.0, ha un titolo che suona quasi profetico: L’ultima volta. Moana intendeva dare così l’addio al cinema hard? Girare pagina o ritirarsi definitivamente dalle scene? Sapeva già di avere un male incurabile o, ancora, progettava di congedarsi dal mondo dello showbiz per cominciare un’esistenza all’insegna dell’anonimato? Tanti, troppi interrogativi. Che con ogni probabilità viaggeranno nel tempo senza risposte.
Nel febbraio del ’94 ha lavorato su quel set. Soltanto sette mesi prima di morire (o di sparire nel nulla, come ancora sostengono i sostenitori della conspiracy theory). Pare che L’ultima volta sia il suo film migliore in assoluto e non sono neanche chiari i motivi per cui non è mai stato proiettato nelle sale cinematografiche per adulti.
Nata a Genova nel 1961, Moana ha debuttato come attrice porno nel 1986 con Fantastica Moana per la regia di Riccardo Schicchi (che dunque fu il suo scopritore); il grande successo è arrivato con il successivo Curve deliziose e da allora non ha fatto che crescere. E’ morta all’Hôtel-Dieu di Lione il 15 settembre 1994, ufficialmente a causa di un carcinoma epatocellulare. Molti, allora, affermarono che in realtà fosse malata di Aids. Il marito Antonio Di Ciesco ha più volte dichiarato di aver compiuto l’eutanasia sulla moglie per sua richiesta esplicita, inserendole bolle d’aria in vena attraverso una flebo.
©Girella / Lapresse
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