Negli occhi di Massimiliano Bruno si legge il cuore. Si legge una perenne curiosità mista a dolcezza, un grande amore per il cinema misto all’ambizione. Non è, però, quell’ambizione che fa andare i passi controtempo all’inseguimento di limiti fasulli; no, Massimiliano Bruno ambisce a usare la sua penna e i suoi occhi per raccontare la visione del mondo che esiste e di quello che alberga nella sua immaginazione. Ambisce a scrivere, ancora e ancora. A raccontare. A tornare sul set e far di nuovo colpo sul pubblico. Il suo ultimo film, Viva l’Italia (2012), commedia dal sapore agrodolce animata da un cast di validi attori e amici – Michele Placido, Ambra Angiolini, Raoul Bova, Alessandro Gassman e Rocco Papaleo – ha incassato oltre cinque milioni di euro; il penultimo, Nessuno mi può giudicare (2011), con Bova e Paola Cortellesi, ha conquistato un Nastro d’argento e un Globo d’oro alla Migliore commedia, un altro Globo d’oro per il Miglior attore e un David di Donatello per la Migliore attrice protagonista.
Piove a Roma, piove da giorni. Lui, Bruno, è reduce da un’influenza. Arriva chiuso nel suo giubbotto e rischiara l’anima con un sorriso sincero. Davanti al pranzo, in una trattoria tipica del centro, comincia a parlare. Anzi, comincia a far domande. Alt. Qua i ruoli rischiano di ribaltarsi senza che nemmeno me ne accorga. Dopo qualche tentativo, si rassegna. O meglio: fa finta di rassegnarsi. La sua curiosità innata è sempre in agguato. Ma accetta di calarsi nei panni dell’intervistato…
Alla fine del mese cominci a girare il tuo nuovo film, ormai manca davvero poco.
Esatto. Girerò a Roma e dintorni per otto settimane. I protagonisti sono Claudio Bisio e Anna Foglietta, nel cast c’è anche un attore che apprezzo molto cioè Marco Giallini. Per quanto riguarda gli altri ruoli, stiamo ancora definendo.
Sarà una commedia?
Sarà un film comico con la giusta dose di cattiveria (sorride, ndr).
Firmi anche la sceneggiatura, come di consueto?
Sì, insieme ad Edoardo Falcone e con la collaborazione di Giacomo Ciarrapico.
Come nascono le tue sceneggiature?
Beh, tutto parte da un’idea che mi piacerebbe raccontare come regista; poi comincio a lavorarci su insieme agli altri sceneggiatori ma spesso – anzi, quasi sempre – le storie cambiando in corsa. Da una parte bisogna fare in fretta anche per esigenze organizzative e di mercato, dall’altra io credo che sulla comicità si debba investire parecchio tempo altrimenti s’è il rischio di essere ripetitivi: ecco perché non faccio un film all’anno e anzi mi ci vuole anche un anno prima di arrivare alla versione giusta. Ci metto molto di più a scrivere una sceneggiatura per un mio film che per gli altri, forse perché nel secondo caso devi seguire un’idea altrui. Con me stesso sono molto severo. E pesantissimo con chi lavora con me…
Quanto ti condiziona il giudizio della critica?
Il giusto. I film, comunque, io li faccio per il pubblico.
In Viva l’Italia hai diretto “mostro sacro” come Michele Placido: che effetto ha fatto?
Confesso che all’inizio ero un po’ impaurito. Poi ho capito che lui, quando fa l’attore… Fa l’attore. E dimentica il suo essere anche regista. Sul set mi faceva domande, voleva sapere da me, ascoltava. Non ti fa perdere la tua identità, anzi la rispetta al massimo. E’ un attore a cui puoi chiedere tutto, non ha alcun tabù ed è molto generoso anche nei confronti degli altri attori. Nutre lo spirito di squadra. E poi siamo juventini tutti e due!
Capita anche a te, come ad altri registi, di avere già in mente un attore ben preciso durante la realizzazione della sceneggiatura?
Sì, certo. Pensi a un attore, poi però magari quell’attore non ce l’hai…
Hai iniziato come autore teatrale, hai lavorato e continui a lavorare come sceneggiatore sia per la tv che per il cinema: fra l’altro, il sodalizio con Fausto Brizzi va avanti da Notte prima degli esami, che avete scritto insieme. Sei attore, anche, il tuo ruolo nella serie Boris – per dirne uno – ha conquistato parecchie persone. Ma se potessi usare soltanto una parola dinanzi alla domanda “che lavoro fai”, quale sceglieresti?
Beh, risponderei che sono un autore. Perché nell’ambiente teatrale l’autore è lo sceneggiatore, mentre al cinema è il regista: sono a posto, insomma (ride, ndr)!
In principio scrivevi per il teatro off.
Sì, fra il 1988 e il 1998 ho scritto una cinquantina di spettacoli teatrali. Scrivevo e recitavo: Roma, come quasi tutte le grandi città, in tal senso ti offre tante chance. Uscivo dalla scuola teatrale di Sergio Zecca, con altri ex studenti ho messo su una compagnia teatrale. Poi ho fatto parte di un’altra, c’erano anche Claudio Santamaria, Paola Cortellesi, Libero De Rienzo. E’ stato un fruttuoso incontro di esperienze diverse, io forse ero più commerciale e loro più autoriali.
E da lì è cominciato il percorso artistico con Paola Cortellesi.
Un sodalizio che ha dato vita a tre spettacoli fortunati: Cose che capitano del 1997, Ancora un attimo del 2003 e Gli ultimi saranno ultimi del 2005 (Bruno li ha scritti e nei primi due ha affiancato la Cortellesi sul palcoscenico, ndr). Io e Paola, fra l’altro, allora avevamo lo stesso agente.
Col tempo ti sei allontanato dal teatro per avvicinarti di più al piccolo e al grande schermo.
… E’ come se mi fossi innamorato di un’altra donna, che posso farci (ride, ndr)? No, scherzi a parte: vedi, a volte capita che sia la vita a scegliere per te. Ho cominciato a muovermi fra cinema e tv, scrivevo fiction insieme a Brizzi e Marco Martani e poi a Giannandrea Pecorelli è venuta voglia di un film sugli esami di maturità ambientato negli anni Ottanta. Io avevo appena fatto uno spettacolo sugli esami di maturità ambientato negli anni Ottanta e da lì alla chiamata di Fausto c’è voluto poco. Amo ancora il teatro; diciamo che amo di meno il modo in cui il teatro viene presentato e gli spettacoli vengono distribuiti. Per il teatro off le possibilità sono ormai ridotte al minimo, soprattutto rispetto ai grandi circuiti.
Secondo te la commedia italiana si sta riprendendo rispetto a qualche anno fa?
La commedia italiana non sta male; il problema è che si continua a fare il paragone con grandi maestri del calibro di Scola, Petri, Risi. Loro non ci sono più, così come non ci sono più quelle tematiche che affrontavano e che facevano tanta presa sul pubblico: il dopoguerra, la povertà, la fame, la voglia di riscatto sociale. Una gamma di argomenti molto, molto sentiti. Adesso c’è un humus sociale ben diverso, in un certo senso l’attualità è inferiore e priva di spessore. Abbiamo parlato per vent’anni di Berlusconi, sarebbe anche ora di smetterla. Rimane il tema degli immigrati, dei nuovi italiani, certo… E poi cos’altro?
Secondo te dove sta la colpa di tutto questo?
Forse nella tv commerciale, non so. So che mio zio, per esempio, era un uomo del popolo ma conosceva una marea di opere liriche. I ragazzi di oggi conoscono perfettamente i nomi dei calciatori, dei tronisti, dei concorrenti dei reality. Ed ecco che Matteo Garrone, sui reality, ha costruito un film d’autore: cosa molto significativa, eh.
Mancano gli attori, oltre alle storie?
Ma no, di attori bravi ce ne sono tanti. Mancano la storie. Credo che nel decennio 2000-2010 il cinema d’autore abbia vissuto una crisi profonda proprio a causa della penuria di argomenti.
Girerai mai un film drammatico o lo escludi a priori?
La verità? Il film drammatico lo sto già scrivendo…
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