Valeria Golino è sempre stata fiera dei suoi occhi. Occhi grandi e azzurri, di una tonalità vivacissima. Quando Marco Simon Puccioni le ha chiesto di rinunciare a quell’azzurro, lì per lì ha avuto una reazione di rifiuto. Poi ha detto “sì”. E ha deciso di recitare – per la prima volta nella sua vita – con le lenti a contatto scure. Perché scure erano invece le pupille di Armida Miserere, una fra le prime donne direttrici di carcere in Italia. Nata a Taranto nel 1956 e morta a Sulmona nel 2003. Suicida. Con un colpo di pistola sparato nelle tempie. Puccioni ha raccontato la sua storia nel film Come il vento, che sarà nelle sale giovedì 28 novembre.
Un film che rispetta la promessa iniziale: colpire lo spettatore. Dargli da pensare, in qualche modo turbarlo. Perché la storia di Armida è di quelle forti, che non si dimenticano e – forse – non si capiscono fino in fondo. Era una donna tosta, lei. Fimmina bestia, la chiamavano all’Ucciardone di Palermo; oppure Il colonnello. Figlia di un militare, sembrava non aver paura di nessuno e aveva grinta da vendere: proprio per tali caratteristiche fu mandata a dirigere carceri molto difficili. L’Ucciardone, appunto. Ma anche Voghera, dov’erano rinchiuse le terroriste più feroci. E Pianosa, dietro le cui sbarre sbraitavano i boss mafiosi. E ancora Torino, Spoleto, Lodi per finire con Sulmona, dove la Miserere decise di abbandonare la sua lotta. Quella per una giustizia migliore e quella per la vita.
Ecco, forse è proprio su quella lotta per la giustizia che il film non si sofferma abbastanza. L’Armida di Come il vento è segnata dalla morte del compagno Umberto Mormile, educatore carcerario, avvenuta nel 1990 durante un agguato di camorra. Anche la vera Armida non riuscì mai ad elaborare quel lutto, a convivere con quel dolore. Ma d’altra parte, come dicevamo, era tosta. Tostissima. La Golino incarna invece una donna che trascina stancamente il suo cuore da un istituto penitenziario all’altro, che a volte si guarda intorno e pare aver perso mordente. Che sente l’esigenza di un nuovo amore ma non riesce a trovarlo. Alla Miserere furono affidate diverse situazioni delicatissime: per esempio andò alla Vallette di Torino dopo la fuga di Curcio, dunque in un periodo tutt’altro che calmo. Ma tutto questo viene mostrato poco, quasi di sfuggita.
Con ogni probabilità si è trattato di una scelta ben precisa da parte di Puccioni: ha puntato i riflettori più sull’Armida privata che su quella pubblica. Più sul suo spirito che sulla sua pelle. In tali geometrie d’inserisce un impeccabile Filippo Timi, che interpreta Mormile. La parte più gioiosa e luminosa di Armida. Quel raggio di cole che s’è spento per non riaccendersi mai più.
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