Il telefono squilla di continuo. Ancora e ancora. Se non squilla, arrivano sms. Fabio Mollo risponde a tutti con buone maniere radicate, incrollabili, frutto di un esempio che – evidentemente – non è mai venuto a mancare. Se non può rispondere, richiama. Nella sua voce non c’è più l’accento del Meridione, ma il Meridione è comunque presente e visibile in ogni sua fibra: nei suoi occhi, blu come il mare quando si fa profondo. Quel mare di Reggio Calabria che l’ha visto crescere. Nella sua compostezza. In quella determinazione con cui è riuscito a tramutare in pellicola il suo sogno. Testa dura, Fabio. La vita del suo film, il Sud è niente, è stata difficile fin dall’inizio. Ma lui non è mollato. E così, qualche giorno fa, eccolo al Festival di Roma: la pellicola, prodotta da B24 Film e Madakai in collaborazione con Rai Cinema, e distribuita da Istituto Luce Cinecittà, ha vinto il Premio Camera d’oro Taodue per il Miglior produttore emergente di opera prima/seconda.
Il Sud è niente è stato presentato in anteprima nazionale nell’ambito della sezione Alice nella Città: la sala Santa Cecilia era piena zeppa di ragazzi. E non solo ragazzi. C’era anche Fabio, vibrante d’emozione, con il suo cast: Vinicio Marchioni, l’esordiente – e protagonista – Miriam Karlkvist, Andrea Bellisario, Valentina Lodovini. E’ andata bene, benissimo. Una sbornia impastata di arte e magia. E di Calabria, naturalmente. Adesso Fabio è al Torino Film Festival. E aspetta che arrivi il 5 dicembre, giorno in cui la sua opera arriverà nei cinema.
Come ti sei sentito lì, nella Sala Cecilia, con tutta quella gente ad applaudirti?
Beh, è stata un’emozione forte. Ed è stato bello condividerla con l’intera troupe. La materializzazione del film è stata possibile grazie al sudore e al “sangue” di tutti noi… Dicono che l’applauso finale sia stato lungo.
Fabio, in che senso “dicono”? Tu eri là...
Sì, ma non ricordo nulla, giuro (ride, ndr)! Il direttore di Alice nella città (Gianluca Giannelli, ndr) mi è venuto vicino dicendomi “Alzati!”, ma io non volevo… Alla fine mi sono alzato e, non so perché, ho notato una persona del pubblico che non conosco e che si stava asciugando i lacrimoni. A quel punto ho cominciato a piangere anch’io… E poi è diventata una valle di lacrime generale!
Quanto è stata dura girare questo film?
Tanto. Abbiamo impiegato cinque anni a metterlo insieme. Fare un film di questo genere, in Italia e di questi tempi, è molto difficile. Per fortuna abbiamo trovato dei produttori francesi disposti a scommettere sul progetto, ma non riuscivamo a chiudere il budget. E alla fine abbiamo deciso di cominciare le riprese ugualmente, con la metà della cifra necessaria e chiedendo enormi sacrifici a tutti, di vario tipo. E’ stata una scommessa sotto diversi punti di vista: il mio debutto, il debutto della protagonista e pure quello del direttore delle fotografia. Abbiamo lavorato davvero in condizioni estreme, senza monitor, a volte senza suono. Ma sono stati, forse proprio per questo, anche giorni bellissimi e indimenticabili.
Ti aspettavi quell’accoglienza al Festival di Roma?
Il film era stato già accolto bene al Festival di Toronto, e questo ci ha fatto ben sperare. A Toronto eravamo ancora un po’ “ubriachi”, soltanto a Roma abbiamo preso coscienza fino in fondo dell’azzardo e del miracolo. Anche perché il nostro è un film italiano e ci tenevamo tantissimo a presentarlo all’Auditorium. C’era un misto di euforia e terrore, perché il pubblico italiano è molto esigente.
Tu hai anche firmato la sceneggiatura insieme a Josella Porto.
Esatto. Abbiamo fatto il primo tentativo di raccontare questi temi con il cortometraggio Giganti, che è stato anche il nostro saggio di diploma al Centro Sperimentale.
Da dove è arrivata l’ispirazione?
Più che un’ispirazione, è stata una necessità. Il bisogno di operare una sorta di rottura con la mentalità di rassegnazione e silenzio che ancora caratterizza gran parte del Sud e che ha messo a tacere più di una generazione. Avevamo l’urgenza di raccontare qualcosa che crediamo sia importante.
Come avete convinto Vinicio Marchioni a interpretare il ruolo del padre?
… L’abbiamo pregato (ride, ndr)! In realtà io ho lavorato come assistente alla regia per un film in cui lui ha recitato; aveva sentito parlare di questa storia e si era incuriosito. Gli ho fatto leggere la sceneggiatura e ne è stato conquistato, credendoci fin da subito. Stessa cosa è accaduta per Valentina Lodovini, che considero a tutti gli effetti la “madrina” del progetto perché ci ha seguito fin dall’inizio e ci ha sempre sostenuto. Pur avendo una piccola parte nel film.
Come è avvenuta, invece, la scelta della giovane protagonista?
L’abbiamo cercata per oltre un anno. Non era una scelta facile; avevamo bisogno di un’adolescente che avesse prima di tutto una fisicità forte, e poi ci chiedevamo: meglio una giovane attrice oppure una ragazza che non ha mai recitato, che quindi si lasci guidare da una sorta di istinto primordiale? Alla fine abbiamo avuto la fortuna di trovare Miriam. Che non aveva mai recitato ma ha un talento davvero innato. E’ stata bravissima, quasi incredibile, a tenere sempre la concentrazione. Non ha sbagliato i tempi, era sempre nel suo personaggio.
I primi di dicembre ci sarà l’anteprima in Calabria. La tua terra, la terra in cui tutto ha preso forma.
La cosa a cui tengo di più è proprio la proiezione là. E’ un film duro, tosto, ma può anche arrivare bene al pubblico. Al Festival di Roma è successo, spero sia ancora così.
Fabio, cosa farai dopo?
… Un altro film, mi auguro! Mi piacerebbe avere l’opportunità di raccontare altre storie che siano urgenti e necessarie: ne ho già scritto diverse.
Altre storie che riguardano il Sud?
Non necessariamente. Anche il Nord ha bisogno di essere raccontato. E credo che la nostra generazione offra davvero molti spunti. E’ vero che è stata dura mettere al mondo Il Sud è niente, ma è anche vero che io sono stato molto fortunato perché ho trovato produttori pazzi e lungimiranti che ci hanno creduto. E che mi hanno lasciato fare ciò che volevo…
A proposito di ‘fare:’ tu progettavi di diventare giornalista.
Già! A 18 anni ho vinto una borsa di studio e sono andato a New York senza conoscere una parola d’inglese e sognando di diventare giornalista. O forse no… Forse, in fondo, il mio vero desiderio era già sulla strada del cinema. Però venivo dalla Calabria, non avevo il coraggio di ammetterlo… Mi dicevo: ‘ma dove vai??’.
E invece, poi?
Mi sono iscritto alla Facoltà di Giornalismo e, accanto, c’era quella di Cinema. Sono stato contagiato e ho cambiato. Ho scelto di buttarmi.
Foto by Kikapress