“Consapevolezza” è una delle parole chiave appartenenti alla genesi e al percorso de L’Ultima ruota del carro, il film di Giovanni Veronesi attualmente nelle sale italiane. Consapevolezza che non ci sarebbe stata un’esplosione immediata al botteghino e fra la gente, ma che prima di varcare la soglia dei cinema la gente stessa avrebbe “annusato” l’aria, letto recensioni-impressioni-pareri per poi fidarsi del passaparola. Consapevolezza che questa pellicola sarebbe stata avvertita come qualcosa di diverso rispetto a quanto fatto finora. E in effetti è così. E’ un cambiamento legato a doppio filo a una crescita sia artistica che personale. Era anche consapevole, Veronesi, che i più giovani sarebbero rimasti un po’ distanti nei confronti di questa storia biografica, la vera storia di Ernesto Fioretti; uno che ha l’età dei loro padri, in alcuni casi dei loro nonni. Ed era anche consapevole del fatto che invece gli over 35 avrebbero ritrovato molte parti di se stessi, si sarebbero riconosciuti anche negli oggetti inquadrati dalla macchina da presa. Sapeva, ancora, che qualcuno si sarebbe cimentato nel trovare difetto, nel puntare il dito da qualche parte, nel cercare il passo falso.
Passo falso che invece non c’è. Perché la consapevolezza è un abito che indossi con estrema libertà, senza badare troppo se sia di moda oppure no. Veronesi è andato a cercare una sfida, l’ha costruita con le sue stesse mani e, adesso che L’ultima ruota del carro viaggia verso il milione di incassi, fa un primo bilancio: è soddisfatto. “Io penso – spiega – che il film sia arrivato e stia arrivando bene. Non ho mai avuto così tanti consensi. Certo, forse i ragazzi sono mancati un po’. Forse non si sono sentiti coinvolti abbastanza, forse avrebbero dovuto ricevere una maggiore spinta da parte degli adulti; anche se devo dire che nei giorni scorsi ho incontrato un gruppo di liceali che l’hanno visto e a cui è piaciuto molto“.
Veronesi ha scelto di raccontare trent’anni di storia italiana, ma è errato il paragone – fatto da alcuni – con Marco Tullio Giordana: “ci sono – chiarisce – intenti del tutto diversi. Il mio è e resta un cinema di intrattenimento, anche se ci sono sempre delle seconde letture. Magari nascoste. Se lo spettatore le trova va bene, altrimenti va bene lo stesso. Ma il mio non è un pubblico scelto“.
D’altra parte, si tratta di un lavoro che gli ha richiesto grande impegno “perché è il film più sincero della mia vita. E’ ispirato a una vita realmente vissuta, quindi il mio obbligo morale è stato quello di rispettare sempre la verità“. E’ mutato il suo modo di fare cinema, dunque? “No – risponde Veronesi – in questo caso c’è una scelta diversa alla base, un percorso diverso. Tuttavia il mio modo di fare film è immutato: ci si commuove dinanzi ad alcune scene, certo, ma prima di tutto ci si diverte. Il mio scopo sarà sempre quello di far divertire in qualche modo la gente. Strappare risate“. La crescita è innegabile e “se uno cresce, poi tornare indietro è sempre difficile“. Lo vedremo nel suo prossimo film, Una donna per amico, i cui protagonisti sono Fabio De Luigi e Laetitia Casta: Veronesi è all’opera.
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