VANESSA CROCINI DA LOS ANGELES – Si parla sempre più delle manifestazioni per i diritti Lbgt che stanno avendo luogo in tutto il mondo, ma la situazione drammatica come quella vista in Uganda negli ultimi tre anni certo fa riflettere. Call Me Kuchu, documentario diretto da Malika Zouhali-Worrall e Katherine Fairfax Wright, racconta il lavoro svolto da alcuni attivisti Lgbt tra i quali spicca il leader David Kato, il primo uomo a dichiararsi apertamente gay in Uganda.
Gli attivisti combattono contro la legislazione anti-omossessuale proposta dal membro del parlamento ugandese, David Bahati, che non solo criminalizzerebbe tutte le relazioni omosessuali in Uganda, ma punirebbe tutti i kuchu con la pena di morte. “Kuchu” è una parola ugandese usata con orgoglio da coloro che sono gay per identificarsi come parte di una comunità.
La bellissima colonna sonora composta da Jonathan Mandabach ci porta tra le strade di Kampala, tra segmenti di servizi della televisione e radio che parlano di alcune tragedie che hanno colpito la comunità Lgbt, alternati ad altre scene di fondamentalisti religiosi che implorano Dio nella crociata contro i gay, fino all’introduzione di David Kato: un uomo dolce, simpatico ma coraggioso e pronto a battersi contro organi che sembrano purtroppo molto più forti di lui. David racconta di quando ha studiato in Sudafrica e ha avuto il primo rapporto omosessuale e di come al suo ritorno sia stato difficile negare la sua vera natura, nonostante la madre cercasse di farlo sposare. Naome invece è stata sposata e ha due figli ma non è mai stata felice. Per questo trova il coraggio di lasciare il marito ed essere finalmente quella che vuole. Stosh racconta la storia più tragica. E’ stata violentata per essere “corretta” dopo essere stata vista con delle ragazze.
L’ignoranza della società ugandese non viene mai ridicolizzata, piuttosto mostrata per far capire l’urgenza di risolvere il problema. Il Vescovo Senyonjo è l’unico conforto religioso per molti membri della comunità Lbgt e, anche se viene bandito dalla chiesa anglicana ugandese, decide di continuare il suo lavoro di supporto verso gli omosessuali. La sua chiesa è uno spazio dove chiunque può andare a pregare, parlare oppure rimanere per qualche giorno se non si sente al sicuro.
Il film mostra come gran parte del problema sia stato causato dal fondamentalismo cristiano, introdotto per altro da gruppi religiosi americani. Gli omosessuali vengono accusati addirittura di essere coinvolti nell’attentato a Kampala rivendicato da Al-Quaeda in occasione dei mondiali; si pensa che che siano stati reclutati dal diavolo e che la loro intenzione sia diffondere intenzionalmente l’Hiv. Una realtà violentemente omofoba che ha completamente demonizzato la comunità Lgbt.
Guardare questo film è come essere su una montagna russa. Ci sono momenti di alta tensione dove David comunica davvero la sua paura per le continue minaccie che riceve, alternati a scene più scherzose dove i ragazzi della comunità si truccano, indossano la loro migliore parrucca e il loro vestito più chic e organizzano una sfilata per incoronare Miss Kuchu. La macchina da presa non è mai intrusiva, e rende tutti i personaggi molto umani, specialmente nelle loro relazioni interpersonali.
La tragedia arriva quando il gruppo viene informato che Kato è morto dopo un attacco di notte. Evento inaspettato anche per le registe, che hanno tuttavia deciso di proseguire le riprese del documentario. Il funerale di David è un momento di estrema tristezza, la rabbia e la disperazione degli amici di David mostrano una dignità profonda. Call Me Kuchu è un’importante testimonianza della forza di Kato, un ammirevole attivista che ha fondato le basi per la rivendicazione dei diritti umani per la comunità Lgbt in Uganda, e la cui opera continua e continuerà a vivere e ispirare gli altri con il motto “A Luta Continua” (La Lotta Continua).
Call Me Kuchu – Trailer from Call Me Kuchu on Vimeo.
Foto by V.C.