Ci siamo: oggi, 19 settembre, nelle sale italiane arriva Sacro Gra. Il film, il documentario, l’impresa audace tutta italiana che ha trionfato alla Mostra del Cinema di Venezia e conquistato l’ambito Leone d’Oro. Lui, Gianfranco Rosi, è curioso di scoprire che faccia farà il pubblico. Ma prima di tutto spera “che gli italiani facciano lo sforzo di vederlo in sala e non aspettino il dvd“. Certo, sa che non è facile portare la gente al cinema per assistere a un documentario; ma d’altra parte ha la consapevolezza – anche se non ostentata – che il suo lavoro merita. Merita eccome: “Finora, nelle proiezioni che abbiamo fatto a Venezia, Bologna e Roma abbiamo registrato un grande entusiasmo“.
Sacro Gra. Anche il titolo c’ha la faccia tosta, con quel “Gra” che sta per Grande Raccordo Anulare. L’anello di strada lungo circa 70 chilometri che abbraccia Roma, i suoi abitanti, chissà quante vite. E proprio su alcune di quelle vite si è posata la cinepresa di Rosi, scegliendo personaggi che a tratti possono sembrare quasi surreali ma in realtà sono assai rappresentativi: Roberto, il barelliere del 118; Filippo, principe sui generis; Paolo, nobile in disgrazia. E poi Cesare, che vende anguille; Francesco che fa il palmologo e Gaetano che recita per i fotoromanzi. Non sono attori, ma persone che si limitano a raccontare se stesse e scelgono di aprire la porta delle loro case: “Non mi è cambiato niente – ha detto, per esempio, Cesare riferendosi a quest’esperienza – Amo il Tevere e rimarrò sempre qui, nessuno mi cambierà la vita“. “Io continuo la mia vita sulle ambulanze – ha fatto eco Roberto – non è cambiato nulla, anche se il tappeto rosso è stata un’emozione incredibile“.
Sono sette in tutto, Rosi li ha scovati passando mesi e mesi ad ascoltare, guardare, studiare. Poi ha iniziato le riprese, che sono andate avanti la bellezza di 2 anni (cui si aggiungono 8 mesi di montaggio). Una faticaccia. Ma ne è valsa la pena, evidentemente e inaspettatamente (lui dice che quel Leone proprio non se l’aspettava e noi gli crediamo). L’idea è nata grazie all’urbanista Nicolò Bassetti, poi il regista ha trascorso tutto quel tempo entrando quasi in simbiosi con il suo cast, condividendo gli stati d’animo di tutti “nel tentativo di cogliere i loro aspetti più autentici e poetici“. C’è riuscito. E Sacro Gra va visto. Perché il fantasma della noia è abilmente scansato, perché la meraviglia va a braccetto con la riflessione, perché l’uso della macchina da presa è sapiente. A tratti ipnotico. E l’universo che si svela, scena dopo scena, merita tempo e attenzione. Bravo Rosi, orgoglio Made in Italy. Finalmente ha avuto il suo riscatto.
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