“Abbiamo paura della parola ‘integrazione’, forse perché non ne conosciamo bene il significato. ‘Integrazione’ vuol dire confrontarsi senza rinunciare alla propria identità“: parola di Valerio Mastandrea, giunto alla Mostra del Cinema di Venezia per presentare La mia classe, film di Daniele Gaglianone selezionato nella Giornate degli autori. Mastandrea è il protagonista; interpreta un professore d’italiano in una scuola di stranieri e la sua classe diventa “l’allegoria della società“, spiega. Fra quei banchi, aggiunge il regista, infatti “sfociano le contraddizioni di un Paese“.
“Non è un film rassicurante“, chiarisce Gaglianone, e non potrebbe esserlo visto che si basa su situazioni reali da cui emergono gravi carenze culturali. Gli allievi del maestro Valerio provengono da ogni parte del globo: Guinea, Bangladesh, Filippine, Turchia, Brasile, Tunisia, Egitto e altre terre lontane. Devono imparare bene l’italiano e integrarsi al meglio, ma un permesso di soggiorno scade e da qui prendono il via una serie di eventi che fanno riflettere lasciando anche un po’ l’amaro in bocca. Vita vissuta, tanto che c’è stato ampio spazio per l’improvvisazione: “Tutti parlavano liberamente“, spiega l’attore romano.
La realtà, dunque, è la vera protagonista? Sì, anche. Una realtà che aspira ad avviare un esame di coscienza che sia il più possibile accurato. Una realtà cruda. Anche per questo il regista mostra allo spettatore alcuni elementi caratterizzanti il set che di solito vengono occultati: i fonici in campo, i ciak ripetuti finché la scena va bene, il confronto con Mastrandrea, i ragazzi e la produzione. Film nel film. Esperimento, coraggio, voglia di mandare un messaggio importante.
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