Sono arrivati i risultati dell’autopsia: quella di James Gandolfini è stata una “morte naturale”. Non c’erano droghe nel suo corpo. Semplicemente, il suo cuore non ce l’ha fatta più. Ma perché non ce l’ha fatta più? Il NY Post è andato alla ricerca delle risposte utilizzando un metodo cinico quanto professionale: ha ricostruito il suo ultimo giorno di vita, trascorso a Roma, attraverso ciò che ha mangiato e bevuto. Tanto, troppo. “Una grande abbuffata”, come la definisce il giornale in questione.
L’indimenticabile Tony Soprano ha consumato, in un ristorante del centro, almeno otto drink: quattro shot di rum, due Pina Colada e due birre. E poi una doppia porzione di frittura di gamberi con abbondante maionese e un generosissimo piatto di foie gras. Tutto ciò è avvenuto dalle 19 in poi, in quello che è stato il giorno più caldo dell’anno, insieme al figlio Michael (che, però, ha mangiato altro). Anzi, per dirla tutta Gandolfini ha ordinato soltanto cibi fritti per quasi tutta la durata del soggiorno romano.
Una condotta simile non farebbe bene a nessun cuore. Figuriamoci al suo, già sottoposto a una perenne fatica derivante dal notevole sovrappeso. E poi l’aria bollente: il colpo di grazia. Tre ore dopo la cena, Gandolfini è stato trovato privo di sensi dal figlio, nella camera dell’hotel in cui alloggiavano. L’hanno caricato su un’ambulanza, portato in ospedale. Dicono che lui abbia provato a lottare. Di certo l’hanno fatto i medici, insistendo per 40 minuti prima di dichiararne il decesso.
Dicono pure che Gandolfini, negli ultimi tempi, frequentava le riunioni degli Alcolisti Anonimi nel West Village, a New York. Del resto, la sua vita è stata costellata di eccessi: alcol, cocaina, feste senza limiti, le accuse della sua ex moglie, una lunga serie di rumors. Frasi sussurrate. Però aveva stoffa da vendere. E un sorriso che non si spegneva mai. Tutti i suoi amici lo amavano e continueranno ad amarlo senza riserve.